Hanno ragione i giornali della destra negazionista climatica: anche cinquant’anni fa d’estate si toccavano i 40° all’ombra. Nell’ultimo secolo la temperatura media del globo è aumentata di poco più di un grado, un decimo ogni decennio cioè quasi nulla su scala umana. Perciò l’abbondanza di servizi e reportage dalle città che soffocano di caldo (con gli immancabili termometri delle farmacie) possono davvero risultare stucchevoli, provocare saturazione e aiutare soprattutto le vendite dei condizionatori.

D’altra parte la mediatizzazione del meteo – cosa diversa dal clima – è un fenomeno reale. L’incredibile progresso delle capacità previsionali ha consentito di trasformare il meteo in uno showbiz. Sui media tradizionali – e soprattutto quelli digitali – si è affermato un sempre più concitato infotainment meteorologico. Lo sanno bene le tv statunitensi che mobilitano telecamere e ore di diretta quando i meteorologi con buona accuratezza segnalano un uragano in arrivo, lì particolarmente frequenti e catastrofici. Significa che il caldo è un’invenzione e che la crisi climatica è inesistente, come sostengono i negazionisti?

Certo che no, ma mettere l’accento su «Caronte» e altri anticicloni serve a poco. Mentre la temperatura globale è cresciuta inesorabilmente ma lentamente, negli ultimi decenni le città si sono trasformate assai più rapidamente in “isole di calore” per colpa di cemento e aria condizionata che aggiungono gradi ulteriori al trend generale (il record a Roma: +3,6 gradi dal 1960, riporta Legambiente nel suo report del 2020 Città sempre più calde). Inoltre, l’invecchiamento ha aumentato la percentuale di popolazione vulnerabile, un fenomeno che ha colpito l’Italia più di altri Paesi e ha fatto segnare qui il record europeo di morti di caldo (diciottomila) nel 2022. Queste sono le emergenze odierne.

I climatologi più seri da tempo sostengono che più che il «riscaldamento globale» occorra sottolineare i cambiamenti climatici. L’aspetto più preoccupante non è infatti quel decimo di grado in più, un numero che sanno interpretare soprattutto gli esperti, ma le sue cause e i suoi effetti. Cioè, la gigantesca quantità di energia assorbita per effetto serra dall’aria e dal mare, con effetti sistemici assai più articolati. Come si impara al liceo, variazioni termiche impercettibili provocano alterazioni macroscopiche nell’evaporazione e nella fusione dell’acqua, nelle correnti oceaniche e negli spostamenti delle masse d’aria. E da questi fenomeni dipendono bazzecole come siccità, alluvioni e disponibilità di acqua dolce.

Il caldo estivo non deve dunque trasformarsi in un’arma di distrazione di massa. Spingere sull’allarme e sulla paura è un utile stratagemma per vendere qualche copia in più e per simulare un’effimera attenzione engagé. Ma può rivelarsi paralizzante e controproducente per la lotta al cambiamento climatico.

Abusare della leva emotiva provoca infatti una veloce assuefazione e si presta a un facile ribaltamento: i media che oggi negano il cambiamento climatico saranno i più lesti a usare la stessa facile retorica quando si presenteranno eventi meteorologici estremi (sempre più frequenti) ma con il segno opposto, alimentando confusione e disinformazione. E ridurre la lotta al cambiamento climatico a un battibecco da talk show sarebbe davvero imperdonabile.