Secondo dati resi noti lo scorso mese, il numero degli ultrasessantacinquenni in Giappone ha raggiunto, nel 2020, la cifra di 36.4 milioni, il 29.1 per cento dell’intera popolazione dell’arcipelago. Di gran lunga il paese con la popolazione più vecchia del mondo, il Giappone è seguito in questa speciale classifica da Italia e Portogallo, e per questo motivo è, in qualche modo, un luogo da guardare molto da vicino, in quanto potrebbe essere un’anticipazione di quello che in futuro avverrà anche in molti altri paesi industrializzati.
Se l’offerta televisiva già da tempo riflette questa tendenza demografica, con programmi studiati e realizzati principalmente per questa fetta di popolazione, negli ultimi anni sono aumentati anche i film e le serie che affrontano le trasformazioni che la società giapponese sta attraversando e dovrà sempre di più affrontare nei prossimi decenni a causa dell’ invecchiamento della sua popolazione. Uno dei più ficcanti e divertenti lavori su questo tema, Roujin Z, usciva nelle sale giapponesi però già trent’anni fa, proprio in questo periodo. Diretto da Hiroyuki Kitakubo e scritto da Katsuhiro Otomo che qui ha curato anche il design dei mecha e che si è avvalso dell’aiuto del mai troppo compianto Satoshi Kon come art director.

PARTE DI UN ESPERIMENTO, Kiyuro, un anziano ormai immobilizzato a letto e fino a quel momento preso in cura da una giovane infermiera, ottiene dal governo il primo prototipo di uno speciale letto in grado di prendersi cura del suo ospite, dal lavaggio, al cambio di vestiti, dalla preparazione dei pasti ai momenti di svago offerti attraverso schermi televisivi. Ma fin da subito questo letto computerizzato e guidato da un’intelligenza artificiale comincia a malfunzionare, adottando, per qualche strana ragione, la personalità della moglie, deceduta anni prima, dell’uomo. Il letto con l’anziano ospite al suo interno si trasforma così in una sorta di macchina semovente e comincia a girare per la città, distruggendo, inglobando e fondendosi, nella migliore tradizione di Akira, con tutto ciò che incontra nel suo cammino.
La giovane infermiera, assieme ad un gruppo di amici e agli altri anziani ricoverati nell’ospedale, cerca di far «rinsavire» il letto che nel frattempo diventa sempre più consapevole, nel senso che mostra sempre di più le caratteristiche della moglie dell’anziano. Pur trattandosi ovviamente di un lavoro completamente diverso da Akira, leggero nella sua realizzazione, comico in molte sue parti, quasi una satira che diverte ma che evidentemente anche si diverte, i temi di fondo toccati sono tutt’altro che leggeri.

LA VECCHIAIA prima di tutto, e come la società giapponese, e più in generale quella dei paesi più avanzati, si relaziona ad essa, ma anche il delicato rapporto, quasi sempre ambiguo, tra tecnologia e essere umani. Un altro dei punti interessanti sviluppati nel film è quello di come le nuove generazioni, quella dell’infermiera e dei suoi amici universitari, formi una sorta di patto con la generazione anziana, i vecchietti costretti a letto ma che si rivelano grandi esperti di computer e che saranno fondamentali nel finale della storia. Questo quasi a voler criticare e mettere sotto la lente di ingrandimento la generazione di mezzo, quella attiva, quella delle persone di mezza età che nel film sono quasi tutte impegnate a fare carriera in un Giappone che al tempo, siamo nel 1991, sta per assistere all’esplosione della bolla economica che caratterizzò la seconda metà degli anni ottanta. Del film esiste anche un’edizione italiana in dvd, da recuperare.

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