Il governo ha fretta. Le mozioni di sfiducia contro Matteo Salvini, vicepremier, e Daniela Santanchè, imprenditrice nel settore del turismo e ministra appunto del Turismo, vanno liquidate nel minor tempo possibile. Dovevano essere votate domani ma la maggioranza propone e approva un’inversione dell’ordine del giorno e passa a respingere seduta stante. Prima è il turno della sfiducia contro Salvini, chiesta da Azione e votata da tutta l’opposizione, per l’accordo del 2017 tra Lega e Russia Unita, mai formalmente disdetto. L’aula della camera respinge la mozione con 211 no contro 129 sì. Poi arriva quella dei 5 Stelle contro Santanchè che rischia il rinvio a giudizio per truffa aggravata nei confronti dell’Inps. Qui però manca all’appello Iv: «Questione di garantismo». Ma il tempo non basta. Poco male, la mozione contro la ministra sarà respinta stamattina.

Il passo di carica però non è sufficiente. Bisogna anche che le due mozioni, soprattutto quella davvero spinosa che riguarda la ministra, siano respinte col minor rumore possibile. Meno elettori se ne accorgono, meglio è. Quando al mattino viene illustrata la richiesta di dimissioni a suo carico, Santanchè nemmeno si presenta imitata del resto dall’intero governo o quasi: c’è solo la ministra dell’Università Bernini. Non che si noti molto: l’intera aula di Montecitorio è vuota. Diserta la maggioranza ma latitano anche moltissimi deputati dell’opposizione. Colpa dell’orario antelucano, intorno alle 10 del mattino. La ministra, comunque, sarà assente anche oggi. Salvini a un certo punto appare ma imbocca l’uscita prima che si parli del suo caso: «Ho una riunione. Vado a fare il mio lavoro». Lo sostituiscono i colleghi ministri leghisti Giorgetti e Calderoli: questione di stile.

L’ESITO DEL VOTO è scontato in partenza. Nessuno si aspetta sorprese nel voto e neppure nel dibattito. Infatti non ce n’è nemmeno una piccola piccola. Sceneggiatura smorta, copione da sbadiglio. L’intera maggioranza annuncia subito la scelta di fare quadrato. «La Lega voterà convinta no a entrambe le mozioni», annuncia il capogruppo leghista al Senato Romeo e sai che sorpresa. «Più che operazione politica è operazione disperata», ironizza l’omologo alla Camera Molinari.

La redazione consiglia:
Dopo Caivano, con 25 grammi di marijuana in Italia si rischia perfino il carcere

«Noi siamo garantisti», disserta per gli azzurri Tosi. Muro sì ma fino a un certo punto. «Se ci sarà il rinvio a giudizio per Santanchè deciderà cosa fare Giorgia Meloni», aggiunge il vicesegretario della Lega Crippa. Anche Tosi ci tiene a completare il suo pensiero: «La decisione politica su Santanchè spetta a FdI». Cioè sempre a Giorgia Meloni. Il problema è suo e sta a lei affrontarlo. Gli alleati, solidali quanto si vuole, se ne lavano le mani e fanno il possibile per segnalare che la responsabilità della decisione più difficile non è loro e non li riguarda.

I DUE CASI IN EFFETTI non procedono affatto in parallelo. La vicenda che riguarda Salvini è davvero stata sepolta ieri, a meno che emergano elementi nuovi e davvero rilevanti a sostanziare l’accusa di aver mantenuto inalterati i rapporti con Putin. Quella che riguarda la ministra del Turismo invece è tutt’altro che conclusa. Se la richiesta di rinvio a giudizio sarà accolta il problema si ripresenterà senza esser stato nemmeno scalfito dalla mozione che verrà respinta oggi. Per la stragrande maggioranza dell’elettorato di destra i rapporti tra la Lega e Putin, universalmente noti, non sono un problema. L’assenza di denuncia formale degli accordi di 7 anni fa appare un problema specioso e irrilevante dal momento che poi, al momento dei voti, il Carroccio si piega disciplinatamente. L’intera faccenda sa di propaganda e come tale la vedranno gli elettori della maggioranza.

I GUAI DI SANTANCHÈ sono di tutt’altra pasta: quella è materia che irrita e indigna anche una parte dell’elettorato di centrodestra. Se la ministra imprenditrice non sarà salvata da un mancato rinvio a giudizio, di qui a poche settimane la premier dovrà scegliere tra la naturale tendenza a fare quadrato intorno ai suoi in ogni caso, antica eredità del ghetto missino e supportata dalla scarsa propensione a litigare con l’amico di Santanchè che presiede il Senato, e il procurare uno sfregio indelebile all’immagine di se stessa, se non del suo governo, che cerca di costruire da un anno e mezzo.