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Salvini e la retorica delle vie di fatto

Un pericolo al Viminale La celebrazione delle vie di fatto è in realtà una promozione indiretta della violenza sotto le mentite spoglie di una giustizia più giusta, rapida ed efficace. In questo senso è intrinsecamente dannosa e pericolosa, perché è popolare

Pubblicato circa 5 anni faEdizione del 11 agosto 2019

Nel ministro dell’interno si nota da tempo una propensione, che sembra toccare oggi il suo apice, non diciamo all’uso della forza, ma certamente alla sua retorica, , che sembra toccare oggi il suo apice. Una retorica delle vie di fatto, che esibisce la prepotenza come metodo.

Un giornalista gli chiede conto delle minacce ricevute mentre filmava la scena di suo figlio su una moto d’acqua della polizia?
Egli non risponde, ma lo insulta, insinuando una tendenza pedofila e ripetendo due volte l’insinuazione in tono sarcastico. Un carabiniere viene ucciso? Senza aspettare che il fatto drammatico si chiarisca, Salvini propaga la notizia secondo cui gli autori del crimine sono extracomunitari, che per lui significa immigrati o profughi, e augura loro, anzi promette, una pena che non esiste nell’ordinamento giuridico italiano.

In altra occasione, aveva invocato che altri colpevoli di un reato «marcissero in galera». L’espressione «marcire in galera» non significa niente di preciso, ma richiama un uso vendicativo della pena, una sorta di contrappasso: anche questo non suggerisce un proposito realizzabile all’interno dei principi giuridici italiani, ma fa capire che quello che ci vorrebbe è appunto l’uso della forza, senza tanti complimenti e senza tanti distinguo.

Non ci interessano le leggi e i principi, ma le punizioni rapide e dure, non ci interessano le buone maniere, ma la forza, le vie di fatto appunto.

Lo si ricorda qualche anno addietro, quando aveva appena conquistato la leadership della Lega ma era ancora ben lontano dalle percentuali odierne di consenso, mentre invitava i seguaci raccolti a Pontida a dar vita a spedizioni di sgombero degli «alberghi» nei quali i migranti erano ospitati, uno per ogni regione.

Avendo cura di precisare ammiccando: «pacificamente, s’intende». Il che vuol dire promuovere un gesto violento e illegale come se fosse un’iniziativa perfettamente legittima, semplicemente dettata dal buon senso.

L’invocazione dei suoi «bimbi» come destinatari delle sue premure e ispirazione della sua azione anche quando essa è illegittima (è avvenuto nel caso dell’abuso della moto d’acqua), suggerisce la stessa procedura: giustificare il fatto compiuto in nome dei suoi buoni sentimenti paterni, che sono i sentimenti di tutti e per questo sono superiori a ogni altra regola, a ogni superflua questione di legalità o di decoro delle istituzioni. L’ho fatto per i miei bimbi. Chi non farebbe altrettanto per i suoi? Chi mi può contestare i mie impulsi paterni? Il gesto non mi sminuisce anzi mi eleva. Del resto, ci sono bimbi e bimbi.
Anzi ci sono bimbi (i suoi, i nostri), e bambini «confezionati dall’Africa» come li ha chiamati nel corso di un comizio, che non possono stare in mezzo a noi.

Al diavolo la nostra Costituzione, in quella di Salvini contano altre cose.

La celebrazione delle vie di fatto è in realtà una promozione indiretta della violenza sotto le mentite spoglie di una giustizia più giusta, rapida ed efficace.
In questo senso è intrinsecamente dannosa e pericolosa, perché è popolare.

Ed è popolare perché ha dietro di sé una lunga scia di problemi irrisolti, di promesse non mantenute, di disastri annunciati, di certezze sgretolate, di illusioni dissolte.

Il populismo a due teste cresce in questo brodo di cultura. Ma poiché esso non risolve i problemi, limitandosi a enunciare retoricamente la loro soluzione, deve continuamente alzare il tiro, inasprire la stretta autoritaria e contemporaneamente isolare, minacciare e mettere a tacere con diversi sistemi le voci che denunciano tutto questo.

Il circolo vizioso può sfociare prima o poi in violenza reale. Dare fuoco a un senza dimora è un modo per togliere di mezzo qualcosa che deturpa, infastidisce, offende. Sparare a un negro è un modo per vendicare un delitto attribuito ad altri negri.

Prendere a calci un omosessuale serve a ristabilire un ordine che la sua esistenza viola. Sempre in nome dei nostri bimbi e dei nostri buoni sentimenti. Non solo.

Ora siamo arrivati al dunque, alla richiesta dei «pieni poteri» benedetta dal tripudio dei selfie: qualunque cosa egli sappia o ignori della storia delle democrazie liberali e del loro deterioramento finale, è chiaro che egli pretende ciò che la Costituzione non ammette: governare senza limiti e senza ostacoli, ossia comandare usando in proprio la forza dello Stato, come ha già cominciato a fare.

Si esagera? Può essere. In ogni caso, bisogna trovare il modo di impedirglielo.

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