Roisin Murphy e l’inquieta hit parade
Note sparse Nuovo album per l'ex voce dei Moloko
Note sparse Nuovo album per l'ex voce dei Moloko
Ex voce dei Moloko, Róisín Murphy torna sulle scene con l’album Hit Parade a tre anni di distanza da Róisín Machine, un sublime pastiche nu-disco che, come una macchina del tempo, frullava tutto l’oscenità e il furore degli anni 70 e 80. Nel nuovo album, specialmente nella prima parte, la cantante irlandese si diverte ancora a mixare synth alla Moroder, i dj set di Larry Levan, le provocazioni vocali di Grace Jones con una propensione alla fluidità del genere. Questa volta però Murphy compie un salto ulteriore, beneficiando della collaborazione quasi alchemica con DJ Koze aka Stefan Kozalla, già al lavoro in precedenza nei brani Illumination e Scratch That, presenti nell’album del 2018 Knock Knock. Non sorprende quindi che i suoni martellanti e poliritmici del producer tedesco si adattino alla perfezione allo stile eclettico ed eccentrico della cantante.
REALIZZATO nel corso di ben sei anni, e terminato due anni fa, Hit Parade è stato composto da remoto grazie a un continuo scambio fra i due artisti. Il risultato è anche un collage di messaggi vocali, audio strambi e curiosi intermezzi che, come una bizzarra punteggiatura, cadenzano quasi un’ora di musica. Entrambi gli artisti inoltre condividono un tocco paradossale, sciolto e preciso che, nella seconda parte, si apre a ritmi pulsanti e scheletrici, già accennati nella prima traccia What Not to Do che prefigura i brani oscuri che contrastano con i ritmi groovy della prima parte della tracklist. Se infatti i singoli CooCool, Free Will e The Universe sono ballabili canzoni alt pop – leggere, retrò ed euforiche -, la sontuosa You Knew, le influenze trap e slam dunk di Two Ways e l’ammaliante, intima Can’t Replicate rivelano una vulnerabilità inedita.
Questa volta però Murphy compie un salto ulteriore, beneficiando della collaborazione quasi alchemica con DJ Koze aka Stefan Kozalla
Specialmente nei sette minuti quasi epici e dal respiro cinematografico di You Knew che, anche nelle parole, conquista con le sue ascendenze deep house e un testo tenero e malinconico, come il suo timbro vocale, che aggiunge complessità concettuale all’album. Questo lavoro stratificato è anche costellato di sottili allusioni alla mortalità, a un’ipotetica vita dopo la morte e, a non vanificare la ricerca musicale mai fine a se stessa. Spiccano testi, ironici e sprezzanti, che profumano di dissacratoria autoanalisi. Un disco, certamente il migliore della sua carriera solista, che come la copertina dell’album di Beth Frey, è colorato, ingombrante, ma anche sottilmente inquietante.
I consigli di mema
Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento