Cultura

Rivoluzioni femministe che cambiano la storia

Protesta in Iran, foto ApProtesta in Iran, foto Ap

Indagini "Noi, donne di Teheran" di Farian Sabahi, edito da Jouvence. Un testo del 2014 rivisitato alla luce della rivolta scoppiata in Iran a metà settembre dopo l'uccisione da parte della polizia morale della giovane curda Jihna Mahsa Amini

Pubblicato quasi 2 anni faEdizione del 24 dicembre 2022

«Donna è Teheran. E come ogni Shahrzad, sussura le parole giuste. Convince. Incanta il suo interlocutore. E incanterà anche voi, se deciderete di viaggiare. E, come miniera di rubini, sarete aperti all’influsso dei raggi del sole». Che Farian Sabahi, in Noi, donne di Teheran edito da Jouvence (pp. 144, euro 12), abbia deciso di raccontare le donne iraniane attraverso Teheran e i suoi riti sociali, familiari, individuali e collettivi, non è un caso. Né una scelta fuorviante.

Perché quei riti, insieme alle peculiarità di società millenarie e alle loro tante identità, sono spesso lo specchio della vita delle sue donne. Le custodi di saperi antichi e di visioni moderne, le depositarie della tradizione orale e allo stesso tempo le protagoniste delle svolte fulminee e decisive, quelle che in tempi brevissimi cambiano percorsi apparentemente cristallizzati.

TANTO PIÙ VERO in Medio Oriente, terra dai mille volti e i mille popoli, luogo di conflitti agiti o latenti e di resistenze mai sopite, dove in innumerevoli casi sono state e sono le donne a tessere le pratiche che cementano società a rischio di disfacimento, a rischio di perdersi, e che garantiscono la sopravvivenza delle reti sociali collettive.
È così che scorre la lettura di Noi, donne di Teheran, testo del 2014 della giornalista e accademica Farian Sabahi, rivisitato alla luce della rivolta scoppiata in Iran a metà settembre dopo l’uccisione da parte della polizia morale della giovane curda Jihna Mahsa Amini.

Una rivoluzione femminista, delle donne, non solo perché sono loro in prima fila, a togliersi il velo e a bruciarlo in piazza, ma perché non può che essere femminista il processo di costruzione di una società altra, democratica e plurale, equa ed uguale per ognuna delle sue identità. Una visione racchiusa nel messaggio che guida la rivolta, «Jin Jiyan Azadì» (Donna Vita Libertà), coniato dal movimento di liberazione delle donne curde e oggi faro del sogno di ribaltamento di un regime che ha nel controllo sociale e familiare delle donne uno dei pilastri ideologici maggiormente identitari.

NEL RACCONTO DI SABAHI, Teheran è lo sfondo perfetto alla società iraniana, alle sue mutevolezze e alle sue certezze, una città contraddittoria e meticcia, affatto distante dagli usi dei paesi mediterranei, dai suoi odori e sapori. E anche dalle sue conquiste. Non stupisce dunque leggere di cosa sono state capaci le iraniane negli ultimi secoli, in anticipo su molti paesi europei e in palese contrasto con l’immagine orientalista che tiene l’Iran sotto la cappa di una narrazione statica e inamovibile: cape di insurrezioni popolari e fondatrici delle prime scuole femminili a metà Ottocento; attiviste di associazioni femministe ed editrici di riviste di sole donne agli albori del Novecento; ambasciatrici all’estero mentre in Italia le squadracce fasciste prendevano d’assalto camere del lavoro e case del popolo; registe, avvocate, giuriste a metà Novecento.

Il testo si chiude con il lungo dialogo – frutto di diversi incontri – tra l’autrice e Shirin Ebadi, avvocata e magistrata iraniana, premio Nobel per la Pace nel 2003, che ripercorre gli ultimi quarant’anni, dalla rivoluzione khomeinista del 1979 all’accordo sul nucleare iraniano del 2015, prima firmato e poi affossato dagli Stati uniti. E, da musulmana, affronta il tema dirimente della religione e del ruolo che dovrebbe rivestire, sul piano individuale e collettivo, in una società democratica. Un dialogo che non poteva prescindere dal linguaggio profondo dell’Iran, la poesia: è in versi che da secoli la Persia racconta se stessa.

I consigli di mema

Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento