Ripensare criticamente Epaminonda (e Tebe)
Statua di Epaminonda, copia di un’opera dello scultore fiammingo Peter Scheemaker, XVIII sec.
Alias Domenica

Ripensare criticamente Epaminonda (e Tebe)

Classici greci "Epaminonda di Tebe" di Salvatore Tufano (LED edizioni) non è una biografia (genere inflazionato) ma una riflessione sulle vicnede di una città e di un suo leader

Pubblicato 10 mesi faEdizione del 28 gennaio 2024

Un insidioso, pervasivo schema di bipolarismo condiziona la lettura della storia greca in età classica: una comoda opposizione di Atene versus Sparta, di democratici versus aristocratici, a tacere delle contrapposizioni di stirpi, di Ioni e Dori, o di elleni e barbari (per lo più Persiani). Questa impostazione è piuttosto ricorrente e talvolta indotta anche dalla tradizione antica. Per uscirne, giova guardare verso «l’altra Grecia», ossia l’Occidente, o l’Asia Minore, o i centri della Grecia lasciati in ombra dalle due città maggiori, come Corinto o Tebe. A quest’ultima città è toccata una fama spesso negativa, correlata alla riduttiva nomea dei Beoti, sommata alla ricorrente accusa di aver parteggiato, in tempo di guerra, per i Persiani. In generale, a Tebe venne attribuita una sola qualità: l’abilità bellica, che sorresse per breve tempo, nel IV secolo a.C., un predominio tebano sulla Grecia. Quel successo fu supportato anche dalla struttura della «lega» beotica: eppure già per la tradizione antica Tebe e i suoi governi erano inferiori rispetto ai due modelli maggiori. Nemmeno i recenti studi sul federalismo greco hanno ribaltato la preferenza per la forma della città-stato.

Egualmente, poche figure storiche tebane hanno raggiunto grande notorietà: tra esse i due generali Pelopida (420-364 a.C.) ed Epaminonda (418-362 a.C.). Grazie soprattutto alle biografie a loro dedicate da Cornelio Nepote e Plutarco (ma la Vita di Epaminonda è andata perduta), i due condottieri sono rimasti nel novero degli «uomini illustri». Così presenti nella tradizione, da finir raffigurati nei cicli pittorici ed esser protagonisti di testi del barocco musicale: Pelopida a Vienna (1694) e Roma (1747), Epaminonda a Napoli (1684), Monaco (1727) e Venezia (1732). Anche il pensiero politico si interessò a loro: Machiavelli trasse dalla vicenda dei due generali amici l’idea che «non solamente in Lacedemonia nascevano gli uomini da guerra, ma in ogni altra parte dove nascessi uomini, pure che si trovasse chi li sapesse indirizzare alla milizia» (Discorsi, 1.21). Solo eroi di guerra? A Epaminonda toccò grandissima lode da Montaigne, nel suo elenco degli uomini più grandi di sempre: vi stanno Omero, Alessandro e appunto Epaminonda, oggetto di speciali onore e amore anche per la mitezza mostrata pur nelle dure necessità della guerra (Saggi, II 36). Un generale abilissimo ma umano, dunque. E quale il giudizio dello studio storico?

Lavori recenti, con nuovi dati archeologici, nuove iscrizioni e nuove analisi storiografiche, hanno reso opportuno un ripensamento. Il libro di Salvatore Tufano Epaminonda di Tebe Vita e sconfitte di un politico di successo (LED Edizioni Universitarie di Lettere Economia Diritto, pp. 262, euro 35,00) non è dunque una biografia (genere in sé inflazionato e condizionante), ma piuttosto una riflessione sopra la vicenda di una città e di un suo leader. La storia militare vi occupa uno spazio rilevante, perché i decenni del IV secolo a.C. furono segnati in Grecia da una conflittualità endemica. Ma v’è dell’altro: pure la politica e la cultura rivendicano adeguata attenzione. Epaminonda, infatti, fu allievo di Liside, un tarentino legato alla tradizione pitagorica, e ciò conferì alla sua educazione un alto livello (per esempio nella musica), riconosciuta anche da una tradizione non sempre favorevole. La vicenda biografica non è sempre ben nota: secondo la tradizione, sarebbe rimasto a Tebe durante l’occupazione spartana (382-379 a.C.), intraprendendo relativamente tardi la politica attiva (di fatto, non si conosce azione di Epaminonda prima della battaglia contro gli Spartani a Leuttra, 371 a.C.).

Il celebre scontro è descritto dalle fonti antiche con divergenze importanti: per analizzarle, Tufano richiama tra l’altro il dibattito novecentesco sul valore dei testimoni oculari. Vi sono anche questioni fattuali. La tradizione asserisce che a Leuttra, per la prima volta, fu adibita la tattica di assalire il nemico con una maggiore spinta dall’ala sinistra (cosiddetta «falange obliqua»): non fu forse la prima volta, ma la manovra consentì ai tebani una schiacciante vittoria, che provocò una serie di crisi nel Peloponneso. Tra gli esiti, la fondazione di Megalopoli, città pensata in funzione antispartana ma rivelatasi poi un fattore di instabilità, e la ripresa politica dei Messeni (quelli cari a Cavallotti!). La dettagliata ricostruzione qui impostata mostra che Tebe, a capo della confederazione beotica, faticò assai a definire una visione politica coerente e capace di valicare la dimensione regionale. A parte difficoltà e processi che lo trattennero, Epaminonda si trovò coinvolto in spedizioni militari per terra e per mare e in multiple azioni diplomatiche (andò ambasciatore pure in Persia): all’impegno assiduo non corrispose l’impianto di un assetto stabile. Morto Pelopida nel 364 a.C. a Cinoscefale, Epaminonda affrontò da solo una poderosa coalizione antitebana. Il combattimento di Mantinea, nel 362, ebbe esito incerto ma mise fine al primato tebano. Il comandante morì eroicamente. La sua figura spiega l’elogio che gli tributò Gaetano de Sanctis («Capitano genialissimo, cittadino probo e amante della patria»), ma spiega anche come mai quella tebana fu una potenza contestata, instabile e non sempre riconosciuta come tale dai contemporanei.

La rilettura critica è sorretta nel libro da una documentazione molto ampia, e da scrittura sobria, nemica della narrazione suggestiva (e spesso romanzesca) come anche del biografismo esibito. Nei modi d’oggi, dal materiale qui sobriamente esposto in una nota (50, p. 197) qualcuno trarrebbe un saggio se non un libro, pieno di brillanti ipotesi. Nulla del genere qui. La complessità della storia greca, policentrica, fitta di scontri e scenari locali mal noti ai più, richiede grande cura nel definire antefatti e contesti degli eventi (e qualche carta geografica sarebbe stata d’aiuto). Corrisponde a tale accuratezza il rigoroso vaglio storiografico, che non cerca soluzioni affrettate per situazioni complesse o incerte, ma nemmeno concede agli idoli della tradizione: il cosiddetto ‘battaglione sacro’ tebano, per esempio, risulta essere un «mito» costruito sul modello del cameratismo prussiano (e si rileva poi che hieros andrebbe inteso come ‘saldo’, non come ‘sacro’). L’importanza della fase in cui Epaminonda agì è chiara: dopo pochi lustri, la Grecia si confrontò con Alessandro Magno, e Tebe con la distruzione totale.

Quanto alla politica, che essa non abbia avuto «successo» può ammettersi, se si considera l’intrinseca instabilità della Grecia in età classica. Nonostante ripetuti sforzi, risultò impossibile consolidare una «pace comune»: varie e mobili alleanze sorgevano soprattutto per prevenire l’emergere della potenza altrui. De Sanctis scrisse che il predominio tebano aveva un grave limite nel reggersi «unicamente sulla forza bruta e sui dissensi e gl’interessi particolari degli altri Greci». Il caso di Epaminonda mostra che tale giudizio fu troppo severo.

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