Cultura

Riot, rivolte e sciopero. Una lettura materialista del presente

Riot, rivolte e sciopero. Una lettura materialista del presenteJoshua Clover / foto wikipedia

SCAFFALE A proposito dell'ultimo libro di Joshua Clover, per Meltemi

Pubblicato circa un anno faEdizione del 12 luglio 2023

«I riot stanno arrivando, alcuni sono già qui e altri sono in preparazione. Non c’è dubbio. Ci vuole una teoria adeguata». Così comincia Riot. Sciopero. Riot. Una nuova epoca di rivolte di Joshua Clover (Meltemi, cura del Gruppo di Ricerca Ippolita, traduzione di Lorenzo Mari e postfazione di Into the Black Box, pp. 243, euro 20). La «teoria adeguata» di Clover – «una teorizzazione pienamente materialista» – fa leva sulla formula marxiana D-M-D’ tanto da fondare l’intera interpretazione, insieme all’intelaiatura del saggio, su quella «riot-sciopero-riot’».

PER CLOVER, ciò che differenzia il riot dallo sciopero è la fase in cui si trova il Capitale in un determinato momento storico: «Le fasi dominate dalla produzione materiale comporteranno lotte interne al processo produttivo, riguardanti il prezzo della forza lavoro; le fasi dominate dalla circolazione vedranno lotte interne al mercato, riguardante il prezzo dei beni». Anche se è impossibile separare in maniera netta una fase dall’altra, Clover traccia un utile percorso storico-genealogico della dialettica riot/sciopero. Il riot predomina dal XVI al XVIII secolo con l’aumento dei mercati sotto la spinta delle potenze marittime. «La prima transizione, riot-sciopero» coincide con l’espansione della produzione a seguito della rivoluzione industriale anglo-americana e termina intorno agli anni ’70 del secolo scorso, momento in cui si realizza «la seconda transizione, sciopero-riot’», guidata dalla troika globalizzata «del toyotismo, dell’informatica e della finanza». L’epoca attuale, quella del riot’, è caratterizzata dalla «produzione della non-produzione», che crea un sovrappiù di denaro non utilizzato e un «sovrappiù» di forza lavoro disoccupata, la quale, almeno in Occidente, è razzializzata e controllata tramite una crescente militarizzazione dello stato con la sua polizia e le sue carceri.

PIÙ FACILE È INVECE definire i luoghi delle lotte: «per la prima era del riot, il mercato, ma ancora di più il porto; per l’era dello sciopero, la catena di montaggio; per la nuova era del riot, la piazza e le strade». Riot e sciopero sono «un insieme di pratiche che fronteggiano circostanze concrete», pratiche di rivolta a favore della riproduzione (leggi: sopravvivenza) delle classi depauperate tramite l’aumento dei salari e il controllo del tempo della produzione (sciopero) o la diminuzione dei prezzi delle merci e il controllo dello spazio della loro circolazione (riot). Dal che consegue che il riot non è uno «sciopero violento», privo di organizzazione, autocoscienza e finalità. Queste presunte differenze, semmai, sono strumentali al disegno del Capitale: spoliticizzare il riot per «oscurare la violenza sistematica che perseguita le vite di gran parte della popolazione mondiale».

LA PROPOSTA di Clover, – come fa notare nel Poscritto all’edizione italiana – non è priva di «macchie cieche» che richiedono ulteriore lavoro teorico: come interpretare gli scioperi transfemministi o i riot ecologisti? E ancora – lo sottolinea bene Into the Black Box –, come reintegrare dentro questa griglia teorica il ruolo attivo delle classi subalterne, evidenziato soprattutto dall’operaismo italiano, nel determinare le vicende del Capitale? Come si costituisce al tempo del riot’ un «soggetto circolante» in lotta per la comune, per una forma di vita che si muova oltre la logica di salari e prezzi?

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(Pezzi correlati: Massimiliano Guareschi, Rivolte, un nuovo vocabolario)

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