Europa

Rifugiati: il trionfo della realpolitik

Crisi dei migranti Caldo e freddo tra Ue e Turchia. Ankara: "non siamo un campo di concentramento". Ma Erdogan chiede soldi e aperture verso l'adesione alla Ue. Merkel promette concessioni, ma Bruxelles frena. Confusione e frontiere bloccate nei Balcani. A Calais, la "nuova giungla" in zona Seveso

Pubblicato quasi 9 anni faEdizione del 20 ottobre 2015

Realpolitik senza più maschere sulle spalle dei migranti. Ormai la Ue tratta con la Turchia senza imbarazzarsi di un qualsivoglia discorso umanitario e siamo alla corsa a un do ut des tra Bruxelles (rappresentata da Berlino) e Ankara. E nei Balcani la confusione e la disperazione crescono, con migliaia di persone bloccate dalle chiusure delle frontiere: la Slovenia, dove premono almeno 10mila persone al confine con la Serbia, arrivate dopo aver attraversato la Macedonia lo scorso fine settimana, limita i passaggi a 2500 al giorno, cioè meno della metà di quanto chiesto dalla Croazia, mentre l’Ungheria si vanta del “successo” del blocco della frontiera con la Croazia (ne sono entrati solo 41 domenica, ha fatto sapere con soddisfazione il governo di Orban).

Gelo dalla Turchia, ieri, dopo il tentativo, domenica, da parte di Angela Merkel di distendere le tensioni. Il primo ministro turco, Ahmet Davutoglu, ha precisato in un’intervista tv: “non possiamo accettare accordi sulla base seguente: dateci dei soldi e i migranti restano in Turchia, la Turchia non è un campo di concentramento”. Domenica, Merkel, in visita in Turchia, aveva promesso di sostenere parte delle rivendicazioni turche nei confronti di Bruxelles, in cambio di un’accettazione, da parte di Ankara, del “piano di azione” proposto dalla Commissione e approvato dall’ultimo Consiglio europeo, la scorsa settimana. Il cinismo è il solo valore in piazza, ormai, sulla questione dei migranti. La Turchia, che il 1° novembre andrà alle urne, ha quattro richieste: 1) soldi, almeno 3 miliardi di euro per l’accoglienza dei migranti (ci sono 2,2 milioni di rifugiati siriani in Turchia e Ankara sostiene di aver già speso più di 7 miliardi di euro e di aver ricevuto solo 417 milioni in compensazione); 2) l’abolizione dei visti per i cittadini turchi nell’Unione europea (Merkel ha promesso un’esenzione per gli studenti e gli uomini d’affari già dal luglio 2016); 3) la ripresa dei negoziati per una futura adesione della Turchia alla Ue (l’ultima fase è iniziata nel 2005, sono stati aperti 14 capitoli su 35, Merkel ha precisato che potrebbero iniziare le discussioni sul capitolo 17, che riguarda la politica economica e monetaria, e sui capitoli 23 e 24, su libertà, giustizia e sicurezza); 4) Ankara pretende il simbolo di poter partecipare ai vertici europei. Merkel ha ottenuto, in cambio, il ritiro della condizione posta dai turchi per discutere sulla crisi dei migranti: cioè la creazione di una zona di sicurezza nel nord della Siria, ipotesi resa ormai impossibile dall’intervento russo. Inoltre, la Turchia, nel caso diventasse “paese sicuro”, dovrebbe impegnarsi a riaccogliere i migranti che dopo aver transitato sul suo territorio non hanno ottenuto il diritto d’asilo in uno dei paesi Ue. Ma questa cinica realpolitik si scontra con enormi reticenze. La Germania è ormai d’accordo per considerare la Turchia “paese sicuro”, ma questa posizione non è condivisa da tutti paesi Ue. Per di più, un accordo di riammissione è già stato firmato tra Bruxelles e Ankara nel 2013, un altro simile era stato firmato con la Grecia già nel 2002, ma nessuno dei due ha mai veramente funzionato. Adesso la Grecia e Cipro temono che la Turchia voglia approfittare della debolezza della Ue sul fronte dei migranti per ottenere concessioni e molti paesi restano decisamente contrari all’ipotesi dell’entrata della Turchia. Ma la Ue sembra pronta a chiudere tutte e due gli occhi sulle derive reazionarie e estremiste del regime di Erdogan, in cambio della promessa di bloccare i migranti. In Germania, questo deal di Merkel non è piaciuto per nulla all’opposizione, Die Linke ha parlato di “fallimento morale” per la “familiarità con il despota Erdogan”.

In Francia, a Calais il numero dei migranti è raddoppiato nelle ultime tre settimane. La tendopoli della “nuova giungla”, dove sono rifugiate ormai circa 6mila persone, risulta insediata in una zona classificata “Seveso”, inquinata dai residui tossici di due industrie chimiche, Synthexim e Interor. Qui il governo ha previsto di costruire un campo di containers per accogliere 1500 persone. La sindaca di Calais, Natacha Bouchart, del partito di Sarkozy, ha chiesto l’intervento dell’esercito per sorvegliare la “giungla” e i suoi “traffici”.

 

 

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