Cultura

Riciclare, ma anche buttare

Riciclare, ma anche buttareOdile Decq

Intervista L'architetta francese Odile Decq ospite a Nova, centro di produzione culturale nato dalla trasformazione di un sito industriale dismesso: l’ex Ceramica Vaccari a S. Stefano di Magra, in provincia di La Spezia. «Perché continuare a spendere per la novità, quando si può invece trasformare qualcosa che esiste già, lavorando in un’economia più ’corta’»

Pubblicato più di 9 anni faEdizione del 22 maggio 2015

Nova, Nuovo Opificio Vaccari per le Arti è un centro di produzione culturale nato dalla trasformazione di un sito industriale dismesso: l’ex Ceramica Vaccari a S. Stefano di Magra, in provincia di La Spezia, una struttura risalente agli anni Venti, motore del processo di emancipazione del comune ligure da borgo di campagna in un villaggio industriale. La produzione di ceramica diminuì a partire dagli anni Settanta, fino ad arrestare definitivamente la sua attività nel 2006. Da quella data sino a oggi questo piccolo comune con meno di novemila abitanti, ha attivato un processo virtuoso facendo confluire energie e risorse nell’obiettivo unico di salvare dalla polvere e dall’oblio i 90.000 mq di edifici produttivi dismessi.
Nel 2006 una porzione dell’intera area viene acquisita dall’amministrazione in comodato d’uso e contestualmente vengono avviati i lavori di bonifica e rimozione di terre inquinate; nel 2010, il comune presenta e vince un progetto per la creazione dell’archivio storico del lavoro in Val di Magra, ottenendo un finanziamento di 500mila euro di fondi Fas. Nel 2012, concluso l’iter di bonifica, viene finalizzato l’accordo di gestione e prende il via il progetto del distretto creativo Nova, con l’assegnazione, tramite bando, di alcuni spazi dell’area per attività culturali.

Yuri Mazzanti, sindaco illuminato di S. Stefano di Magra e autore del progetto Nova, con la chiusura dell’opificio ha raccontato di essersi trovato di fronte a uno scenario di crisi e cambiamento, «consapevole che un modello produttivo era ormai finito, di fronte a quei 90mila mq di sola superficie coperta, inattivi e in disuso, ho capito che con urgenza bisognava trovare una soluzione. Non volevo però ripetere lo stesso errore in cui si incorre sempre in Italia, ovvero rispondere con proposte altrettanto superate e inefficienti, come ad esempio un centro commerciale. Abbiamo scelto di importare in Italia un modello ormai diffuso negli altri paesi. Le tensioni si sono manifestate ’a casa’, e la principale difficoltà dell’intera operazione è stata far comprendere alla comunità locale che anche il riuso di edifici dismessi è un modello di sviluppo».

Dopo il debutto nel 2014, si è svolta il 14 e 15 maggio la seconda edizione di Nova cantieri creativi 2015, una rassegna curata da Lara Conte, storica dell’arte, che ha visto alternarsi sul palco dell’opificio Vaccari esponenti nazionali e internazionali del mondo della cultura tra cui, fra gli altri, Stefano Chiodi, Luis Bacalov, Eva Frapiccini, Franco La Cecla, Angela Vettese e l’architetta francese Odile Decq. L’intero progetto procede a ritmo spedito: i programmi futuri prevedono, per giugno, l’apertura di un bando pubblico per la gestione di una residenza artistica, e il lancio dei prossimi eventi con il concerto di Patti Smith (il 31 luglio).

L’architettura è stata al centro della rassegna, con l’inaugurazione ufficiale dell’archivio Vaccari nella sede dell’edificio dell’ex Calibratura. Secondo Odile Decq, «oggi si pone sempre di più la questione della rigenerazione di vecchi edifici. Credo che sia un nuovo modo di pensare l’economia, che influisce anche sull’architettura: significa che non si pensa più a costruire il nuovo ma piuttosto a rigenerare il vecchio».

La nuova strada per l’urbanistica è dunque il riciclo di spazi preesistenti?
La direzione è quella. Anche Cina, ormai, sembra decisa a prendere in considerazione la questione della ristrutturazione, fattore totalmente nuovo e dunque estremamente interessante. Tutti si pongono la stessa domanda: perché continuare a spendere per la novità, quando si può invece trasformare qualcosa che esiste già, riciclando e lavorando in un’economia più ’corta’. Queste forme di intervento, inoltre, si mostrano sensibili anche a un’idea di memoria, una questione piuttosto urgente in un momento di crisi come questo, nel quale la gente sente spesso il bisogno di fare riferimento a caratteri consolidati e condivisi e, in questo senso, diviene ancor più importante ripristinare vecchi luoghi che conservano già un’identità, da trasformare e implementare.

Come definisce il termine patrimonio? Pensa che la nozione corrente di «heritage» si presti ancora a descrivere l’attuale consistenza del tessuto contemporaneo?
Ecco una domanda molto italiana… che però ci poniamo sempre più spesso anche noi in Francia, soprattutto in merito alla tutela del patrimonio moderno e contemporaneo. Penso che non siamo costretti a conservare tutto, che è generalmente il difetto di chi si occupa del patrimonio, e che oltre a conservare bisogna imparare a trasformare. Il rischio è che si finisce per vivere indossando vecchi abiti, mentre abbiamo anche bisogno di andare a comprare vestiti nuovi: fa bene. Dobbiamo imparare a parlare di testimonianze, più che di patrimonio, riferendoci non tanto all’eredità del passato, quanto a quelle tracce capaci di raccontare della storia recente, così come di quella più antica.

Ha già visitato l’Expo a Milano? Crede che la manifestazione debba avere una idea di mondo con cui confrontarsi?
Il tema del cibo è molto interessante, e contiene due componenti fondamentali: quella economica e sociale, che si rifà all’idea di nutrire il pianeta e ai problemi di ripartizione del cibo nel mondo, e la questione culturale, o meglio di costume, che vede il cibo sempre più spesso protagonista di mostre, eventi e tendenze, e che rimanda ad un’idea di salute, benessere e cura della persona. Non sono stata ancora all’Expo, e sono curiosa di capire quale di queste visioni sarà quella emergente.

Se dovesse selezionare, in una sorta di raccolta differenziata, un’opera, un oggetto, un evento significativo da  conservare in un archivio di «memorabilia», ovvero di oggetti da portare in un archivio per costruire il prossimo futuro, cosa sceglierebbe e perché?
In architettura sceglierei il teatro dell’opera di Sydney perché è ciò che mi ha colpito di più quando studiavo architettura. Come musicista sceglierei Mozart, perché è il più creativo e il più gioioso e perché penso che il futuro ne abbia bisogno. Se dovessi scegliere un oggetto…non saprei proprio.
È una domanda molto complicata: non mi piace voltarmi indietro, non sento mai nostalgia del passato, concentro la mia attenzione su ciò che potrò scoprire domani, aspetto l’oggetto che deve ancora venire, decisamente… sono più interessata a domani che a ieri.

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