Il presepio, più avanti l’albero. I regali, prima solo per i piccoli, poi piano piano anche per gli adulti. Un bel pranzo e persino un po’ di sci in montagna. L’isolamento e le misure anti Covid  forse producono memoria, la memoria della lenta, faticosa, combattuta e contraddittoria crescita del benessere occidentale. Così torna anche il ricordo che tutto questo si è potuto verificare solo dopo  vent’anni di barbarie fascista e dopo una guerra, che non è sempre stato così – e non è detto che torni ad essere così.

L’autoisolamento forzato può generare una collera – infantile –, per chi è benestante: certe precisazioni diventano obbligatorie. Oppure un allargamento d’orizzonte, in questo caso verso il risveglio di una coscienza del passato, del tempo, della storia. Risveglio di pensiero, ma anche di immaginazione. Nell’isolamento c’è chi rilegge testi sul tracollo dell’impero romano e chi l’antica o nuova riflessione sull’antifascismo e riscopre così anche la preziosità della scolarizzazione di massa. Ma qualcuno (qualcuna) si dedica alla fantascienza. O alla scienza: fisica, chimica, biologia…

Perché da qualcosa – da un qualche terreno – bisogna pur partire: un bizzarro consenso generale (buon segno? Cattivo segno?) circonda l’affermazione secondo cui occorrerà un cambiamento radicale di orizzonti e prospettive e stili di vita, dunque di pensiero. Perché «niente sarà più come prima». Sappiamo che cosa c’è da cambiare, o così crediamo: ciascuno e ciascuna ha il suo povero elenco di obbiettivi, o di capitoli di un futuro libro: uguaglianza, stato sociale, ambiente, redistribuzione del lavoro, promozione delle donne. Ci si può spingere fino a qualche obbiettivo intermedio, per esempio, un Servizio Sanitario vero e proprio (nazionale?). Ma si sa, davvero si sa che non basta avere un elenco: devi avere una socialità, una collettività, una circolazione di pensiero, lotta, solidarietà, comunicazione in grado di sostenerne la realizzazione.

E da questo punto di vista – dal punto di vista politico – sappiamo bene di non essere all’altezza, se non altro come generazione postbellica, diciamo così. La mia. Perché la dimensione necessaria, la grandezza necessaria è andata perduta, si è disgregata: l’internazionalismo, cioè il rapporto con la dimensione mondiale, con lo spazio – che oggi parla della Terra in pericolo. E la pretesa  (malamente chiamata protagonismo) di imprimere una propria consapevole traccia nel succedersi degli eventi umani, cioè nel rapporto con la storia: col tempo. Inoltre si è aperta una nuova prospettiva, quella di ripensare e risignificare e ristrutturare le relazioni umane, tanto devastate. A partire dalla relazione primaria della specie: quella tra donne e uomini. Con libertà e cautela, rispetto e fermezza, capacità di lotta e di pace.

Da qualcosa bisogna ripartire. E nell’isolamento ti capita di andare alla ricerca di stili di esplorazione non così diffusi e non così praticati, o abbandonati. Scopri che ti servono i linguaggi dell’arte e delle scienze per sconcertarti a sufficienza, insieme alle filosofie e alle poesie. Prendendo come misura di un tuo silenzioso progresso il senso di freschezza che ti viene a scoprire il moltiplicarsi delle  strade del senso, come ricominciando dalle più antiche percezioni e passioni, riattraversando tutte le età, con lo sguardo alla finestra quando inizia l’alba, con la tua tazza di caffè tra le mani.