Retromarcia sulle ordinanze regionali
Governo-governatori Nell'ultimo decreto l'esecutivo abbandona l'intenzione di far passare una relazione gerarchica tra stato centrale e territori. Ma lascia spazio per nuovi conflitti e confusioni
Governo-governatori Nell'ultimo decreto l'esecutivo abbandona l'intenzione di far passare una relazione gerarchica tra stato centrale e territori. Ma lascia spazio per nuovi conflitti e confusioni
Pubblicato mercoledì a tarda sera, un giorno e mezzo dopo la conferenza stampa di annuncio, e in vigore da ieri mattina, il nuovo decreto sull’emergenza coronavirus che riporta in una fonte di rango primario le norme sull’emergenza e le conseguenti limitazioni delle libertà, riassorbendo in un atto di legge la pletora di Dpcm emanati negli ultimi due mesi, contiene una novità rispetto alle attese. In un unico punto il testo definitivo del decreto diverge da tutte le bozze circolate ieri e l’altro ieri, anticipate e commentate da diversi organi di stampa. Ed è un punto cruciale, perché tocca il nervo scoperto della risposta che lo stato apparato sta dando all’epidemia: il rapporto tra il governo e le regioni.
Nel nuovo schema i presidenti di regione non dovranno sottoporre al presidente del Consiglio le loro ordinanze, che in assenza di conferma avrebbero avuto una validità limitata di sette giorni, come si poteva leggere nelle bozze. Meccanismo che a cascata era previsto anche per i sindaci, che avrebbero dovuto farsi validare le ordinanze dai presidenti di regione. Evidentemente questa impostazione rigidamente gerarchica del rapporto tra lo stato centrale e le autonomie regionali non ha passato un esame preventivo di costituzionalità, alla luce del Titolo V che affida alle regioni una competenza prevalente nella regolamentazione e organizzazione della salute pubblica. O forse più semplicemente a palazzo Chigi hanno pensato con terrore alla serie di ricorsi che i presidenti di regione avrebbero presentato contro le mancate conferme delle loro ordinanze. Si potrebbe aggiungere che la soluzione gerarchica avrebbe fatto a pugni con la spinta all’autonomia differenziata che il governo giallo-rosso non ha del tutto abbandonato rispetto a quello giallo-verde, ma è evidente che quello che accadeva prima dell’emergenza coronavirus appartiene ormai a un’altra epoca.
La soluzione adottata alla fine con il decreto 25 marzo numero 16 da un lato lascia alle regioni la possibilità di continuare con le loro ordinanze a tutela della salute pubblica in caso di «specifiche situazioni sopravvenute di aggravamento del rischio sanitario» nei loro territori, come è stato dal 23 febbraio scorso in applicazione della legge sul servizio sanitario. Dall’altro limita questo potere di intervento con una formula che risente della polemica tra governo e regione Lombardia sulla chiusura delle fabbriche: «Senza incisione delle attività produttive e di quelle di rilevanza strategica per l’economia nazionale». Il nuovo decreto come il precedente afferma che le ordinanze regionali hanno valore di urgenza «nelle more» dei successivi Dpcm che continueranno, prevedibilmente, a piovere. Dal che resta confermato anche il rischio che il caos continui, in mancanza di collaborazione tra Roma e le Regioni. O nel caso tornino a farsi sentire le esigenze di visibilità elettorale dei governatori.
(a. fab.)
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