Resta la Fornero e allora la Lega rilancia Quota 41
Pur di distrarre l’attenzione sulla figuraccia della mancata «cancellazione della riforma Fornero» la Lega spinge per inserire qualche norma sulle pensioni nel decreto Lavoro. I leghisti puntano ad alzare le pensioni minime, avendo dalla loro parte anche Forza Italia che era già riuscita ad innalzarle in legge di bilancio.
La misura premierebbe ancora una volta gran parte dell’elettorato della destra: commercianti e artigiani che hanno eluso il pagamento dei contributi durante la loro carriera lavorativa e ora si ritroverebbero aumentano l’assegno senza alcuna copertura contributiva.
Non è detto però che leghisti e berlusconiani riescano a vincere il braccio di ferro. Lo stesso ministro leghista dell’Economia Giancarlo Giorgetti ha già fatto presente che distribuendo le poche risorse a disposizione (tre milardi) su più fronti, l’intervento sul cuneo fiscale risulterà meno forte e incisivo. Insomma, dividendo le risorse fra pensioni e taglio del cuneo si depotenzierebbe la portata in entrambi i capitoli.
La scelta spetterà a Meloni, non certo alla ministra Marina Calderone, «tecnico di area» sempre debole e poco ascoltata all’interno del governo. Anche per questo, l’ineffabile sottosegretario al Lavoro leghista Claudio Durigon ieri è tornato all’attacco rispolverando il suo vecchio cavallo di battaglia per ipotecare il futuro del tema pensioni.
L’attuatore del flop Quota 100 nel primo governo Conte Lega-M5s ha rilanciato Quota 41: una norma che ancora una volta favorirebbe i lavoratori più garantiti con un lavoro stabile, sfavorendo invece precari e giovani che a 41 anni di contributi non ci arriveranno mai, se non in età centenaria. «Aspettiamo la prossima legge di Stabilità per capire su quante risorse possiamo contare. Ma l’obiettivo del governo, in tema di pensioni, resta quello dei 41 di contributi a prescindere dall’età anagrafica. Un principio che è già entrato nella nostra legislazione, visto che è in vigore con la Quota 103, sebbene limitato dal paletto dei 62 anni del lavoratore», spiega Durigon.
L’orizzonte temporale però viene subito ridotto: «Entro la fine della legislatura», precisa Durigon, che comunque si dice «fiducioso che riusciremo a portare a casa la riforma anche prima. Le soluzioni ci sarebbero anche perché oggi buona parte di chi esce dal lavoro ha, nel suo assegno, un peso preponderante rappresentato dal sistema contributivo. E questo conferisce maggiore flessibilità nelle possibili decisioni di intervento legislativo nel settore», facendo una crasi con il pensiero del presidente dell’Inps (in scadenza) Pasquale Tridico che parla di anticipo della parte contributiva o ricalcolo dell’intero importo usando solo il metodo contributivo. «È una delle tante ipotesi in valutazione. Ce ne sono anche altre sulle quali continua il ragionamento», sostiene Durigon. Senza avere fatto i conti con il collega di partito Giorgetti. Che è di tutt’altra idea.
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