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Renzi sul Quirinale: voi discutete, io decido

Renzi sul Quirinale: voi discutete, io decidoIl presidente del Consiglio Matteo Renzi

Il presidente del Consiglio alla direzione Pd: «Per eleggere il capo dello stato si cerca di coinvolgere tutti. Ma niente veti». Sì a Berlusconi, no ai 5 stelle. E porta in faccia alla minoranza interna sulle riforme

Pubblicato più di 9 anni faEdizione del 17 gennaio 2015

Un segnale di apertura sul Quirinale: «Il presidente della Repubblica si fa cercando di coinvolgere tutti». Innanzitutto il proprio partito, il Pd, la cui direzione, assieme ai «grandi elettori», è convocata «in modo permanente». Un segnale che contraddice l’intenzione, precedentemente espressa di puntare al quarto scrutinio per eleggere il successore di Napolitano, con una carta segreta da tirare fuori al momento opportuno. No, garantisce Matteo Renzi davanti alla direzione democratica e a chi lo ascolta in streaming, il Pd si consulterà e farà il suo nome alla vigilia del primo scrutinio, il 29 gennaio. Nessuna anticipazione naturalmente, ma le poche cose che dice – «un arbitro» che abbia «solidità istituzionale» – confermano che gli ex leader hanno meno chance. Più Mattarella che Veltroni, insomma. Quanto a Prodi, dipenderà dalla forza con la quale le opposizioni interne con Sel e M5S riusciranno a proporlo nelle prime votazioni. Il professore ha davanti a sé un altro giro sulle montagne russe, e per questo fa professione di indifferenza: «Non voglio più essere in mezzo a queste tensioni e a questi problemi».

Il tono di Renzi è conciliante, così lo coglie l’oppositore Civati: «Se conferma le parole di oggi va bene, se non le conferma discuteremo, se c’è la possibilità di votare un buon nome e di eleggerlo non solo con i voti di Berlusconi va bene». Ma dietro il tono non c’è molto. Sulle riforme, per scelta del premier il terreno sul quale si sta preparando la corsa al Quirinale, non c’è alcuna concessione alle richieste delle opposizioni. No secco al tentativo della fronda di Forza Italia di rallentare la corsa, con tanto di presa in giro a Brunetta che sarebbe un «fannullone» perché vorrebbe dedicare qualche pomeriggio dei lavori parlamentari alla riflessione interna ai gruppi sulla scelta per il Colle. Il presidente del Consiglio punta ancora tutto su Berlusconi, nella speranza che riesca a domare la rivolta di Fitto. Ma Renzi sbatte la porta in faccia anche alla minoranza del Pd che, bersaniani in testa, da settimane chiede di togliere dall’Italicum i capolista bloccati e l’inganno delle preferenze (previste per tutti ma efficaci solo per il partito vincitore). Il premier sa che la dissidenza ha argomenti e numeri nelle aulle parlamentari, tant’è che ha incontrato il portabandiera delle critiche alle riforme, il senatore Chiti. Ma in direzione conferma tutto con un lungo elogio all’Italicum, neanche più soltanto «la migliore legge possibile» ma «un modello di facilità che non è facilmente migliorabile». «Non c’è una lista bloccata», si spinge a sostenere Renzi, ripetendo il parallelo tra un sistema in cui il capolista è pluricandidato in dieci diversi collegi ognuno più grande di una provincia e l’uninominale del Mattarellum. «Secondo i nostri calcoli il 60% dei deputati sarà eletto con le preferenze e il 40% con i candidati dei collegi», dice, ben sapendo che calcoli molto più ragionevoli presentati dagli oppositori rovesciano questo rapporto, come minimo.

Un discorso che sembra chiudere lo spazio a ogni mediazione interna. Del resto anche la disponibilità sul Quirinale è a doppio taglio. «Nessuno ha diritto di mettere veti, nemmeno tra di noi», chiarisce Renzi; come a dire che esperita la discussione la sua proposta andrà accettata, e votata in aula dai grandi elettori. Lo stesso piglio usato con i grillini: «Speriamo di fare con loro ma possiamo fare anche senza di loro». Niente del genere per Berlusconi, che «ha votato gli ultimi due presidenti della Repubblica» (non proprio, non Napolitano nel 2006). Prima dei saluti la rottura con la minoranze arriva anche sulle primarie in Liguria e sulla delega fiscale «salva Berlusconi». Conclusione del Bersaniano D’Attore: «Sulle riforme in aula si rischia una drammatica spaccatura nel Pd, non il modo migliore per preparare l’elezione del presidente della Repubblica».

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