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Reddito di cittadinanza, la realtà oltre la piattaforma

Reddito di cittadinanza, la realtà oltre la piattaformaNapoli, manifestazione contro l’abolizione del reddito di cittadinanza – LaPresse

Lotteria Italia Il governo scarica sui Comuni, a loro volta in forte difficoltà per la mancanza di personale e di risorse economiche, il problema della povertà e del disagio di tante famiglie e il peso di provare a dare le risposte che lo Stato ha deciso di non dare più

Pubblicato circa un anno faEdizione del 1 settembre 2023

Se la ministra Calderone non vede nessun rischio di bomba sociale evidentemente non ha la percezione della realtà. La realtà di centinaia di migliaia di persone e di famiglie disperate che con l’abolizione del reddito vengono lasciate sole e senza sostegni.

È questa la scelta crudele di un governo ostile con i poveri, ritenuti i colpevoli della loro condizione. Così se sei povero, se sei disoccupato, se sei in difficoltà, per il governo la colpa è tua che non fai abbastanza per uscire dalla tua condizione. Un governo che colpevolizza le vittime, che lo siano di abusi o della povertà.

Così, mentre la Germania innalza salario minimo e misura di sostegno al reddito, consapevole che nei momenti di difficoltà bisogna poter contare sulla protezione di uno stato sociale solido e inclusivo, in Italia, con oltre 5 milioni di persone in condizioni di povertà assoluta e 15 milioni a rischio di esclusione sociale, si sceglie di cancellare il reddito di cittadinanza, strumento universale di contrasto alla povertà, introducendo nuove misure e dividendo la platea delle persone in condizioni di difficoltà, tra coloro che possono accedere a un sostegno economico e coloro che ne sono escluse a prescindere dalle loro reali condizioni di bisogno.

Il reddito di cittadinanza era sicuramente migliorabile, ma indubbiamente prevedeva una risposta economica per tutti coloro che si trovavano in condizioni di bisogno, per poi attivare percorsi di inclusione lavorativa e sociale.

Da oggi, una parte consistente di persone in difficoltà, sarà lasciata sola.

Chi vive in nuclei familiari nei quali non ci sono minori, persone con disabilità o non autosufficienti o prese in carico dai servizi sociali, non potrà accedere all’assegno di inclusione sulla base di una presunta ‘occupabilità’ basata solo su un criterio anagrafico: avere tra i 18 e i 59 anni di età. Un criterio assolutamente arbitrario, senza alcuna logica e soprattutto che non tiene conto né dell’effettiva condizione delle persone, molte delle quali sono lontane da tempo dal mercato del lavoro o comunque difficilmente occupabili, né del mercato del lavoro che in ampie realtà del Paese, a partire da quelle del Sud, presenta criticità pesanti e strutturali che il governo ancora una volta dimentica.

Un criterio sbagliato che non tiene in nessuna considerazione il problema drammatico del lavoro povero che non garantisce redditi adeguati a tanti, troppi, lavoratori e lavoratrici imprigionati in una morsa fatta di precarietà, part-time involontari, appalti e subappalti, lavoro povero.

Ma cosa succede a chi resta fuori e senza sostegni? Il governo, come pensa debbano vivere coloro che, perdendo il reddito di cittadinanza, non potranno accedere a nessun aiuto? Come farà chi non avrà neanche la possibilità di partecipare ai corsi previsti dal Supporto per la formazione e lavoro, unico modo per accedere ai 350 euro al mese di sostegno, e solo per la durata dei corsi? Come pagheranno l’affitto, visto che sono stati azzerati anche i fondi per il sostegno affitti e morosità incolpevole?

Il governo scarica sui Comuni, a loro volta in forte difficoltà per la mancanza di personale e di risorse economiche, il problema della povertà e del disagio di tante famiglie e il peso di provare a dare le risposte che lo Stato ha deciso di non dare più.

Ma sono soprattutto le persone in condizione di fragilità e bisogno, a pagare il prezzo più alto.

Per questo è necessario che, a partire dalla prossima legge di bilancio, venga ripristinato uno strumento di contrasto alla povertà e di sostegno al reddito che abbia carattere universale e venga fatto un forte investimento nell’infrastrutturazione sociale per rispondere ai bisogni delle persone in condizioni di difficoltà e disagio spesso a molteplici dimensioni (economiche, abitative, educative, sociali, assistenziali, sanitarie), per garantire loro una vera presa in carico con servizi pubblici e sostegni.

Ma soprattutto è necessario che un Paese che voglia dirsi civile si faccia carico di rimuovere le cause che generano povertà, emarginazione, diseguaglianze, indicatori di arretratezza e ingiustizia, come prevede la Costituzione.

Anche a sostegno di queste rivendicazioni, il 7 ottobre saremo di nuovo in piazza in una grande manifestazione nazionale a Rome per un’altra idea di Paese, di società, di giustizia sociale.

*segretaria confederale Cgil

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