Reddito di base, una mappa anti propaganda
Il libro «Il reddito di base nell’era digitale» di Giuseppe Allegri, pubblicato da Fefé editore. S’immagina una nuova architettura costituzionale, che possa aggredire la ricchezza finanziaria. Tre i concetti su cui si articola il volume: solidarietà, autodeterminazione, protezione individuale e collettiva
Il libro «Il reddito di base nell’era digitale» di Giuseppe Allegri, pubblicato da Fefé editore. S’immagina una nuova architettura costituzionale, che possa aggredire la ricchezza finanziaria. Tre i concetti su cui si articola il volume: solidarietà, autodeterminazione, protezione individuale e collettiva
Con Il reddito di base nell’era digitale (Fefé editore, pp. 265, euro 15) Giuseppe Allegri ha scritto un libro necessario in un paese dove il governo nazional-populista Lega-Cinque Stelle sta istituendo una versione reazionaria del «reddito di cittadinanza». Ovvero: un sussidio che obbligherà al lavoro gratuito, alla formazione e riqualificazione obbligatoria, all’emigrazione forzata, all’arricchimento dei capitalisti che incasseranno i nuovi incentivi erogati sul modello del Jobs Act. Questo progetto è la parodia di una misura che significa l’opposto: una tutela universale di un diritto fondamentale all’esistenza di ogni persona svincolata dal lavoro e dalla nazionalità.
IL VOLUME DI ALLEGRI permette di comprendere lo scandalo politico in corso in un paese che ha riscoperto il concetto di povertà da poco e sta creando un sistema di sfruttamento dei poveri. È un lavoro che fa giustizia delle critiche al provvedimento basate su un’idea infame: il «reddito» è «assistenzialismo» e finanzierà i poveri «fannulloni» che stanno sul divano. Non è vero: è assistenzialismo di stato alle imprese, lavoro forzato con otto ore di corvée gratuite a settimana per 18 mesi. È sufficiente leggere, senza pregiudizi, i decreti per capirlo. Le pagine del libro dedicate a questo proposito sono esemplari.
Si parla oggi di un reddito di sudditanza che rischia di ingrassare una nuova burocrazia e favorire un business sulla precarietà. L’obiettivo di questo sistema complesso, difficilmente realizzabile in tempi prevedibili in Italia, è sottrarre gli esclusi dal mercato del lavoro informale (economie in nero e in grigio) e collocarne temporaneamente una parte in un mercato dipendente dai sussidi pubblici. L’obiettivo è spingere milioni di persone a diventare «occupabili» al fine di aumentare il tasso di occupazione in un’economia dove la crescita è anemica e non produce occupazione fissa. Quattro milioni e novecentomila poveri italiani e stranieri comunitari – gli extracomunitari residenti da meno di dieci anni saranno esentati dal sistema per non irritare il razzismo della Lega – serviranno per dimostrare che le statistiche sul lavoro sono positive, l’occupazione cresce, la povertà è stata «abolita».
IL RISULTATO sarà diverso: i poveri lavoreranno e saranno sfruttati da due padroni: il governo e gli imprenditori. È il contrappasso del «populismo»: dicono di volere il «bene» del popolo, la sua condizione non conoscerà un miglioramento significativo.
Il libro di Allegri offre gli strumenti per comprendere che cos’è davvero un «reddito di cittadinanza». La sua è, primo luogo, è una mappa per orientarsi nel dibattito mondiale sul reddito di base, espressione più universale di quello «di cittadinanza» che limita il discorso a chi ne possiede una dei paesi dominanti, trascurando il diritto all’esistenza di tutti gli esseri umani. Sempre di più questo reddito è giudicato come una soluzione alla situazione in cui ci troviamo: il disaccoppiamento tra produttività e salari prodotto dal capitalismo finanziario e digitale. Un fenomeno aggravato da un assetto proprietario dell’automazione che esclude la condivisione del valore prodotto dalla forza lavoro di tutti, mai come oggi al centro dei processi produttivi.
Allegri dimostra l’attualità di una politica per il reddito di base, frutto di una visione pluralistica che non esclude misure di riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario, la contrattazione o la ridemocratizzazione dei luoghi di lavoro e della vita democratica. Bisogna prospettare una «transizione al reddito minimo garantito nella prospettiva di un reddito di base», scrive. Significa assicurare un minimo vitale incondizionato, e senza limiti di tempo, a chi si trova sotto la soglia di povertà e anche a chi, pur lavorando, è povero e senza tutele: almeno due generazioni di precari. E questo fino al miglioramento della condizione economica, che verrà solo grazie a una trasformazione radicale della divisione capitalistica del lavoro e dei poteri.
IL LIBRO PROSPETTA una nuova architettura costituzionale centrata sul «diritto sociale fondamentale al reddito di base». Questo diritto articola tre concetti: solidarietà, autodeterminazione, protezione individuale e collettiva. E può essere sostanziato da una conversione decisiva della produzione in senso ecologico (green job transition), da una riforma fiscale radicalmente progressiva, non solo nazionale, che aggredisca la ricchezza finanziaria e quella accumulata dai campioni capitalismo digitale (da Amazon a Apple o Facebook). Confrontandosi con proposte simili dei teorici del reddito di base come Philippe Van Parjis e Yannick Vanderborght (un «Eurodividendo», o reddito medio mensile di 200 euro per tutti i residenti in Ue), e con quelle presentate da Yanis Varoufakis anche nel programma di Diem25, Allegri prospetta anche un’imposta europea sulle transazioni finanziarie e una «carbon tax» che impone una commissione da pagare sui combustibili fossili.
L’INSIEME DELLE RISORSE andrebbe al finanziamento di un «reddito di mobilitazione» per pagare il «lavoro invisibile» 24 ore su 24 sulle piattaforme come Facebook e a una politica sociale che prospetta una riforma universalistica del Welfare.
In questo coraggioso programma il reddito è considerato una «piattaforma politica operativa» che sintetizza l’eterogeneità dei soggetti sociali con il ripensamento dell’ordinamento politico e giuridico multilivello in cui ci muoviamo. È un’intuizione importante perché rifiuta la riduzione della politica al binarismo nazionale/globale, autoctono/straniero, garantito/precario, tipico del momento nazional-populista in cui viviamo. Viceversa, la nuova politica dovrebbe essere un prisma che contiene i mille volti dei movimenti antirazzisti, femministi, per la giustizia sociale e climatica, e va oltre. Questa agenda non mira solo alla redistribuzione, ma «allarga l’accesso alla ricchezza sociale» riconoscendone la fonte – noi, la nostra forza lavoro – e cambia i poteri pubblici e privati che permetterebbero di farlo.
Allegri prospetta la creazione di un’intermediazione sociale basata sull’auto-organizzazione e sulla partecipazione. Questa idea è fondata sulla cultura del garantismo sociale perché protegge la persona nella società, e non solo sul mercato del lavoro. La nuova sintesi è stata ottenuta, grazie a una genealogia originale, lavorando su elementi presenti nelle tradizioni repubblicane, federaliste e municipaliste del costituzionalismo e del socialismo. L’orientamento è stato esposto da Allegri anche ne La furia dei cervelli e Il quinto stato, due libri che abbiamo scritto insieme. In questa sede si prospetta la transizione da un «antiquato» capitalismo della rendita digitale e dello sfruttamento economico a un’economia finanziaria «civile e sociale», basata sull’«utilità comune», in vista di un futuro «post-capitalistico».
NON È MAI TROPPO tardi per una politica del reddito di base. Soprattutto in Italia, uno dei paesi-laboratorio di questa proposta. Se ne parla da quarant’anni. Allegri lo dimostra, ancora una volta, in un libro ricco e pieno di energia utopica nel momento in cui si propone di introdurre una misura di ispirazione completamente diversa.
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