Economia

«Recessione tecnica» nell’eurozona (a quella vera non manca molto)

«Recessione tecnica» nell’eurozona (a quella vera non manca molto)Sassonia, Lipsia: al lavoro sulle colonnine di ricarica rapida per auto elettriche alla Siemens – Ap

Scenari Tra Germania che crolla, Italia che rimbalza post-Covid e Polonia che vola con le spese militari, il pil cala per il secondo trimestre

Pubblicato più di un anno faEdizione del 9 giugno 2023

L’eurozona è in recessione tecnica. Lo dicono le ultime stime di Eurostat sull’andamento del prodotto interno lordo nei venti paesi che adottano la moneta unica. «Tecnica» perché il pil si è contratto per due trimestri consecutivi a cavallo tra il 2022 e il 2023: – 0,1% nel quarto trimestre dell’anno passato, – 0,1% nel primo trimestre di quest’anno. Si tratta di una media, naturalmente. Non tutte le economie europee viaggiano alla stessa velocità. E, come accade da un po’ di tempo a questa parte, fuori dall’euro si cresce di più. Nell’insieme dell’Ue, infatti, si è registrato un aumento del pil dello 0,1%.

CONSUMI, investimenti, esportazioni nette, spesa pubblica. Ogni paese presenta le sue peculiarità. La Germania rallenta e finisce in recessione (-0,3%), mentre l’Italia cresce di misura (+0,6%). Con la Polonia che, all’opposto, fa registrare un robusto +3,8%. Come si spiegano queste differenze? Sulla Germania, più che su altri Paesi europei, pesano gli effetti dello shock energetico e della guerra in Ucraina.

Troppo dipendente la sua economia dalle fonti energetiche russe. In Italia invece stiamo beneficiando della coda del rimbalzo post-Covid. Un po’ come la Francia (+0,2%). Ma è un fuoco fatuo, bisogna rimanere all’erta. Troppo integrata è la nostra economia con quella tedesca. E le conseguenze della guerra sono ancora tutte da ponderare. C’è chi con la guerra ci perde, nondimeno, e chi ci guadagna. Il grande balzo della Polonia nel primo trimestre di quest’anno – dopo il tonfo del quarto trimestre 2023 (-2,4%) – si spiega anche con gli effetti sulla domanda interna della spesa per i profughi ucraini (sulla crescita incide anche la gigantesca spesa militare, salita al 4% del pil, la più alta tra i paesi Nato).

E NEI PROSSIMI mesi? Nelle previsioni di primavera, la Commissione europea si è mostrata piuttosto cauta sulle prospettive economiche della zona euro e dell’Unione. «Un’inflazione di fondo più persistente potrebbe continuare a limitare il potere d’acquisto delle famiglie e determinare una risposta più incisiva della politica monetaria, con ampie ramificazioni macrofinanziarie», si legge nel documento. Il timore è che la situazione si avviti su sé stessa.

L’inflazione – soprattutto quella di fondo, cioè depurata dei prezzi dei beni a forte volatilità come quelli energetici – si mantiene alta e falcidia il potere d’acquisto dei salari, degli stipendi e delle pensioni, mentre la banca centrale non arretra sulla sua politica monetaria restrittiva. Domanda attaccata su due fronti, dall’inflazione e dalla stretta monetaria, col rischio che la recessione, da «tecnica», si trasformi in crisi economica vera e propria. Tra l’altro, la stessa Commissione mette anche in guardia dalle conseguenze di politiche di bilancio espansive dei paesi membri.

«Alimenterebbero ulteriormente l’inflazione contrastando gli interventi di politica monetaria», è la conclusione. Austerità, dunque. In attesa degli eventi sul fronte ucraino, senza trascurare i rischi che potrebbero derivare da «turbolenze nel settore bancario» e dall’ingigantirsi delle tensioni geopolitiche mondiali.

INTANTO, GLI OCCHI sono puntati sulla Bce, che dovrà prendere a breve nuove decisioni in tema di tassi d’interesse (la riunione è fissata per il prossimo 15 giugno). Sarà più prudente o confermerà la linea aggressiva seguita finora? I segnali che provengono dall’economia non dovrebbero lasciarla indifferente. Infatti, si parla di un aumento di «soli» 25 punti base. Ma è l’impostazione di fondo che lascia perplessi. Ammazzare consumi e investimenti per un’inflazione dal lato dell’offerta gonfiata dalla speculazione? È sempre una questione di classe, c’è poco da fare.

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