Vittima della follia di guerra, Pierre-Maurice-Raymond Duchamp (solo nel 1900 adottata lo pseudonimo di Duchamp-Villon) è tra i primi artisti a porsi il problema di una scultura cubista. In poco più di dieci anni e senza alcuna formazione accademica alle spalle, nello stile riprende Rodin, si volge al lascito di Gauguin e di Cézanne. Guarda a Maillol e interpreta la forma semplice di Brancusi, mutua la sintesi plastica di Matisse. Studia Picasso e il cubismo ortodosso per un uso consapevole di schemi analitici che abilmente interpreta nelle sue opere.
Infanzia a Blainville-Crevon, poi Rouen, dove dal 1886 frequenta le lezioni del Liceo Corneille assieme al fratello maggiore Gaston, che prenderà il nome d’arte Jacques Villon. Entrambi danno prova di una vocazione all’arte che coltivano a casa del nonno Émile, abile incisore. Nell’ottobre 1894, Raymond raggiunge Gaston a Parigi, rue des Écoles, e comincia gli studi in medicina che abbandona quattro anni più tardi a causa della malattia reumatica di cui soffre. Sedotto dal fermento culturale della Ville Lumière, si dedica alla scultura e si trasferisce in uno studio-atelier, rue Campagne-Première, insieme all’amico Arthur Bulard. Tra il 1900 e il 1905 realizza le prime statuette di tono intimista e naturalista (Yvette Guilbert, Loïe Fuller, Coquette), vicine per stile e umorismo ai disegni di Jacques Villon per «L’Assiette au beurre» e «Le Sourire».
Con un occhio sempre vigile al virtuosismo di Rodin, dal 1905 Duchamp-Villon affronta il tema del movimento e scolpisce la sua prima grande opera: Joueurs de football. In netto anticipo sulle indagini della Section d’or (1912), elemento non secondario alla riflessione su spazio e volume, la matematica lo stimola a meditare sul canone aureo, determinante per l’assetto compositivo dell’insieme scultoreo.
Nell’ottobre del 1907, con sua moglie Yvonne si trasferisce a Puteaux, non lontano dal centro di Parigi. Insieme raggiungono Villon al numero 7 di rue Lemaître, dove si è da poco formato quel nucleo di arte e pensiero, concorrente del Bateau-Lavoir di Montmartre, destinato a un proficuo avvenire nella storia dell’arte moderna. Il primo padiglione è occupato da Kupka, futuro protagonista del cubismo orfico; a seguire, l’atelier di Villon e, in fondo al giardino, lo studio che Raymond condivide con il pittore e cognato Jacques Bon. Nel frattempo anche Marcel, a Parigi dall’ottobre 1904, frequenta l’ambiente di Puteaux, aprendo le porte a una nuova ricerca comune che si sarebbe rivelata feconda per ciascuno dei loro percorsi.
Nel 1907, Raymond invia al Salon d’Automne Femme penchée (Torse). Soggetto e stile derivano dal realismo anatomico di Rodin, così come la rappresentazione del frammento che qui Raymond demitizza nello sforzo di concentrarsi sulla purezza materica della scultura. Lo stesso procedimento di una ‘sineddoche scultorea’ investe il Torse de jeune homme (Athlète) del 1910 che, se nello slancio impetuoso conserva echi indubitabili dell’Homme qui marche rodiniano (1907), per vigore e rigore compositivo è da considerarsi puntuale citazione degli arcieri del tempio di Afaia, Egina. Nutrito anche della meditazione di Cézanne nel ricorso alla purezza elementare delle forme geometriche, l’Athlète segna l’inizio di una nuova fase, orientata verso l’effetto dinamico dell’insieme e la ricerca della forma semplificata.
Al tramonto del 1910, Puteaux rappresenta un centro focale dell’arte moderna. Assidui i frequentatori dell’avanguardia parigina: Metzinger, La Fresnaye, Léger, Picabia, Delaunay, Kupka, Gleizes e, occasionalmente, anche Apollinaire, Roger Allard, Alexandre Mercereau, Paul Eluard, André Salmon e Paul Fort. Giocano a scacchi, fanno picnic, discutono di arte, letteratura, filosofia, matematica, geometria non-euclidea, di spazio e tempo. Sensibili all’eredità del simbolismo letterario e all’approccio esoterico dei numeri, insieme riprendono il trattato di Leonardo e ne adottano le conclusioni: le singole parti della composizione sono unite tra loro da un rapporto matematico, fonte della perfetta armonia delle forme. Rappresentanti attive del periodo cubista, le loro opere sono rievocate nell’attuale allestimento museale di Rouen che con oltre settanta unità, tra sculture e disegni, possiede uno dei fondi più ricchi consacrati ai fratelli Duchamp e all’epoca delle avanguardie: l’opera di Raymond è posta a confronto con quella degli altri artisti del circolo, da La Fresnaye a Kupka, da Metzinger a Gleizes.
Delle sale del Musée des beaux-arts colpisce l’eterogeneità di stile che contraddistingue l’opera di Duchamp-Villon: si passa da un primo intimismo figurativo alle indagini sul movimento, dalla sintesi che mutua dal classicismo novecentesco alla tecnica del rilievo, dalla ricezione dell’arte primitiva africana alla più razionale interpretazione del primo cubismo cézanniano. È il caso del Baudelaire, la scultura che realizza nel 1911 ed espone al Salon d’Automne dello stesso anno. Rigorosa composizione quasi geometrica, l’opera non solo tende alla perfezione epidermica delle teste ovoidali di Brâncusi, ma si volta indietro fino ai profili ieratici dei kouroi greci, o ancora ad esempi dell’arte egizia come, forse, le ‘teste di riserva’ della IV dinastia.
Nel momento in cui si inaugura la decima edizione del Salon d’Automne del 1912 – dove Duchamp-Villon espone la Maison cubiste, il projet d’hôtel pensato da André Mare con la collaborazione di Villon, Marie Laurencin e La Fresnaye – la mostra della Section d’or, rue de la Boétie, si appresta ad aprire i battenti. Pietra miliare della storia del cubismo, annovera le più grandi figure dell’arte moderna, che hanno contribuito a un’idea di cubismo propriamente francese, diverso da quello cartesiano e più razionale di Picasso e Braque. Alcuni nomi: Marcel Duchamp, Léger, Picabia, Archipenko, Gris, Gleizes, Metzinger. Duchamp-Villon invia Maggy, ritratto della moglie dell’amico e pittore dada Ribemont-Dessaignes. Nessuna eleganza di stile in questo volto sgraziato, una fisionomia potente, densa di riferimenti alla scultura primitiva e ambasciatrice di un radicale, assurdo stravolgimento della forma. Raymond prosegue la sua ricerca, sempre avvalendosi di quella forma semplificata che gli consente di concentrarsi sulla qualità volumetrica dell’opera. Nel 1913, il bassorilievo Les Amants: i volti si sfiorano nell’istante del bacio amoroso. La donna all’indietro mentre l’uomo è chino verso di lei, con un dolce richiamo all’Amore e Psiche di Canova. È l’élan bergsoniano che suggerisce l’estensione spaziale e quel movimento in potenza che avrebbe contraddistinto il profilo della Femme assise (1914). Qui, le pure forme geometriche si saldano in una rotazione opposta e complementare che sprigiona il senso di un moto vorticoso, complici i giochi di luce e ombra dettati dall’utilizzo cosciente del vuoto. L’esaltazione del dinamismo lo avvicina ai problemi odierni della società: tra le questioni più attuali, la meccanizzazione.
Al potere demiurgico che Boccioni assegna alla macchina, subentra una scelta totemica tesa a rappresentare la forza atavica della terra. Simbolo per eccellenza è lo Cheval (1914), manifesto della padronanza intellettuale dell’uomo su qualcosa che dall’uomo stesso è stato creato. Complesso assemblaggio di forme organiche e meccaniche, l’opera è caratterizzata da una superficie levigata che, trattata alla maniera di Brancusi, provoca un effetto di potenza e forza trattenuta. I volumi, lavorati per sporgenze e rientranze, si incastrano senza urto e aderiscono all’unità dell’insieme. Terminato in agosto, lo Cheval è realizzato in gesso nelle modeste dimensioni di 44 centimetri. Raymond desidera ingrandire l’opera, ma l’11 agosto si arruola in guerra come medico ausiliario e deve abbandonare questo progetto portentoso che sarebbe stato ripreso solo in seguito da Jacques e Marcel, rispettivamente nel 1931 e nel 1966.
A settembre Raymond è spedito al fronte, nella regione della Champagne, dove nel 1916 contrae il tifo da cui mai sarebbe guarito. Nonostante il terrore della guerra, le ricerche di Raymond non conoscono battute d’arresto. A Mourmelon, dove è ricoverato, lavora alla decorazione di un teatro militare che orna con un gallo stilizzato. Nel 1917 è trasferito all’ospedale Corbineau, Châlons-sur-Marne, dove riceve le cure del professor Antonin Gosset. I due si legano di amicizia al punto che Raymond ne esegue il ritratto quasi astratto: sintesi radicale di un volto sospeso nel vuoto, l’opera è ridotta all’innesto di due forme geometriche primarie. Ciascuna delle due parti articolate confluisce in un tutto unitario che anticipa le più celebri têtes de femme realizzate da Picasso a Boisgeloup. Ingiusto tramonto della sua carriera di artista, il Gosset è per stesso dire di Raymond un riuscito punto di partenza per qualcosa che avrebbe voluto terminare, se non fosse stato per la malattia che lasciava aperto un interrogativo incerto sul prosieguo della sua opera.
Mosso da autentica riflessione intellettuale, Raymond moltiplica i suoi studi fino all’anno della morte, 1918: disegna l’architettura di un istituto chirurgico, e scrive una pièce de théâtre in collaborazione con il compagno d’armi Jean Keller. Per il burlesque che chiamano Les Sémaphores (1918), riflesso ironico dell’esperienza di medico e paziente ricoverato, Raymond disegna i costumi e immagina la messa in scena, testimone del suo interesse per il Dada e per il teatro surrealista. Scultore, disegnatore, architetto e scrittore, Duchamp-Villon compie la sua ricerca nel segno della purezza formale e dell’espressione delle più diverse manifestazioni dell’animo umano. La stilizzazione e il dinamismo della sua scultura avrebbero esercitato una forte attrazione sugli artisti dell’epoca: da Boccioni a Brâncusi, dalla sua protetta Adelheid Roosevelt fino ad Archipenko. Si stava mettendo in atto un profondo cambiamento: il passaggio da un’arte di percezione a un’arte di concettualizzazione, e Duchamp-Villon stava costruendo le basi dei suoi codici plastici. Non un progresso meramente tecnico, quanto la scoperta di una nuova maniera di percepire il mondo e i fenomeni intellettualistici che ne accompagnano l’evoluzione.
Ancora pieno di progetti, nella primavera del 1918 è trasferito all’ospedale militare di Cannes, nei locali dell’hôtel Bellevue. Il 7 ottobre, a un mese dall’armistizio, si spegne, lasciando un vuoto incolmabile nella storia dell’arte moderna. Due retrospettive postume gli sarebbero state consacrate nel 1919 al Salon d’Automne e nel 1926 al Salon des Indépendants. Il collezionista e amico Walter Pach avrebbe allestito una personale nel 1929 alla Brummer Gallery di New York e all’Arts Club di Chicago. Nel 1931, in occasione della mostra alla galleria Pierre, André Salmon lo avrebbe definito, e non è un caso, sottile interprete dell’avvenire. Si aspetta in ottobre, alla caduta del centenario, l’uscita del catalogo ragionato dell’opera completa, curato da Patrick Jullien, presidente dell’Association Duchamp Villon Crotti.