Il 19 maggio era previsto l’aggiornamento del rating di Moody’s sull’Italia, che alla fine è stato rimandato. Ritorna questo termine, entrato nell’uso comune nel 2011, durante la crisi del debito che all’epoca aveva fatto parlare di un possibile default dell’Italia. In realtà non era vero niente, ma di che si tratta esattamente?

Le agenzie di rating sono aziende private che danno una valutazione sulla affidabilità finanziaria di svariati soggetti: istituzioni, imprese, ma anche Stati. Rating significa infatti «valutazione», e il termine è diventato comune, anche se la traduzione italiana più ortodossa è «agenzie di notazione».

Le principali sono tre: Moody’S, Standard and Poors e Fitch. Sono una sorta di intermediari fra investitori e chi emette obbligazioni (cioè chiede soldi in prestito), perché i loro giudizi, in forma di una sorta di pagella, dovrebbero indirizzare gli investimenti verso i soggetti più «sicuri» . Di conseguenza questi ultimi possono farsi prestare fondi con basso interesse, mentre chi viene valutato in modo più sfavorevole deve promettere ritorni molto più consistenti.

L’importanza di questi soggetti è data anche dal fatto che importanti fondi di investimento sono obbligati per statuto a detenere solo titoli sufficientemente sicuri, per cui una valutazione sfavorevole li obbliga celermente a venderli, facendone crollare il valore; e al contrario un buon giudizio li rende immediatamente appetibili. Inoltre queste agenzie sono possedute da società finanziarie legate agli stessi soggetti da valutare.

Per esempio Moody’s pare sia stata particolarmente lenta e dare note negative a Wells Fargo, una società detenuta dal suo maggiore azionista. Standard & Poors, che è posseduta in gran parte da una società finanziaria in buona parte appartenente a Goldman Sachs è stata criticata per aver dato voti particolarmente favorevoli alle obbligazioni emesse da aziende legate a tale colosso speculativo.

Questo apre un altro capitolo in merito alle consulenze: le società di rating si fanno pagare per consigliare la modalità di costruire i prodotti finanziari in modo da ricevere giudizi positivi, e poi… sono loro stesse a valutarli. Moody’s ha quadruplicato i suoi profitti fra il 2002 e il 2007 dando voti favorevoli a prodotti finanziari particolarmente complessi che erano invece rischiosissimi.

La ciliegina sulla torta è la fonte dei profitti: sono le stesse compagnie soggette a valutazione che pagano i propri valutatori, quindi si può immaginare la loro attendibilità.

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Riassumendo tutto ciò non ci si può stupire se la Commissione del Senato degli Stati Uniti sulla Crisi del 2007-08 ha concluso che «i fallimenti delle agenzie di rating del credito sono stati ingranaggi essenziali nel ruolo della distruzione finanziaria. Le tre agenzie di rating del credito sono state i principali promotori del tracollo finanziario».

Se tutto ciò non bastasse, va considerata la opportunità di adoperare simili criteri per entità pubbliche come gli Stati. Sottoporli a valutazioni secondo criteri di mercato significa mettere al primo posto gli interessi degli investitori anziché i diritti e i bisogni dei cittadini.

Se per esempio uno Stato fosse nella necessità di rimandare il pagamento dei propri titoli per spendere di più in sanità pubblica o altre forme di servizi, sicuramente si beccherebbe un brutto voto, col rialzo dello spread. Tale divaricazione di tassi di indebitamento per gran parte del mondo politico è diventato l’indice di buoni o cattivi fondamenti economici (alta se essi sono positivi, e vice versa) e di una più o meno «virtuosa» conduzione dello Stato.

Tuttavia le valutazioni di rating (che influiscono ma non determinano rigidamente lo spread, su cui incidono ben altri fattori esterni) sono indice della conformità delle politiche economiche con gli interessi degli investitori. Una differenza importante che andrebbe tenuta a mente quando il prossimo politico ci sventolerà il rating sotto al naso.