«Qui scoprono che non hanno colpa per quello che sono costrette a subire»
Centri antiviolenza La maggioranza dei casi conferma gli abusi in famiglia. Spesso l’uomo che violenta a sua volta ha subito soprusi. L'esperienza del Cav di Miano
Centri antiviolenza La maggioranza dei casi conferma gli abusi in famiglia. Spesso l’uomo che violenta a sua volta ha subito soprusi. L'esperienza del Cav di Miano
«In undici mesi si sono rivolte al Centro antiviolenza di Miano sessanta donne. Arrivano soprattutto grazie ai servizi sociali oppure attraverso le forze dell’ordine o le Asl e le parrocchie. Ma ci sono anche donne che chiamano il numero verde, attivo 24 ore su 24. Gli operatori le indirizzano al Cav più vicino ma non è una regola rigida, spesso non vogliono farsi vedere dai conoscenti o hanno paura, soprattutto se vivono in piccoli centri. In quel caso l’operatore le indirizza in altre zone. Da noi, ad esempio, vengono anche dall’hinterland, come Casoria o Quarto» spiega Anna Maria Ambrosio, che dirige la struttura di via Valente. Si tratta di uno dei cinque Centri antiviolenza del comune di Napoli, ogni presidio ha in carico due municipalità. Il Cav 3 si occupa di una vasta area che riunisce sette quartieri della periferia est e nord della città: Miano, Secondigliano e San Pietro a Patierno; Piscinola, Marianella, Chiaiano e Scampia, circa 200mila abitanti in totale, una città nella città (alta evasione scolastica e picchi di disoccupazione), che fa da cuscinetto con comuni ad alto rischio camorra, come Marano o Melito.
Il disagio sociale però non spiega la violenza di genere, diffusa anche nella borghesia, neppure l’istruzione è un fattore né l’età: «Arrivano ragazze molto giovani così come ultra cinquantenni, casalinghe con bassa scolarizzazione e laureate – prosegue Ambrosio -. Le statistiche spiegano che chi ha subito abusi o ha assistito ad abusi molto spesso diventa poi violento, ma nel nostro territorio c’è soprattutto un comportamento che si ripete da una generazione all’altra: mariti, compagni o ex che picchiano la moglie, la compagna o la donna con cui avevano una relazione. È un effetto della cultura patriarcale: ricevere uno schiaffo per gelosia o rabbia è ritenuto un comportamento accettabile e accettato in un sistema sociale che si regge sulla disparità di ruoli. L’atteggiamento generale è quello di sopportare».
Le donne che si rivolgono ai Cav nell’hinterland partenopeo, oltre agli abusi, spesso soffrono per l’isolamento a cui vengono costrette, rinchiuse nelle pareti domestiche dove sono controllabili: «Le nostre municipalità sono costituite da quartieri molto popolari, il reddito è basso, la vita complicata ma c’è una forte socialità, l’isolamento gioca un ruolo inferiore. Spesso le donne che arrivano da noi sono aiutate nei primi passi dalla rete di amicizie che hanno intorno. Rispetto al passato, anche l’atteggiamento della famiglia sta cambiando: prima i genitori spingevano le figlie al silenzio, adesso cominciano ad accompagnarle nei Cav. Il sostegno della famiglia è importante perché, superata la paura del compagno, l’elemento che tiene comunque le donne prigioniere di rapporti violenti è la dipendenze economica. Inoltre, il fatto che ci sia un contesto sociale che le sostiene consente loro di rimanere nel quartiere dove vivono. Quando non avviene, sono costrette ad allontanarsi».
Non avere un reddito, né una casa rende difficile liberarsi, soprattutto in contesti economici ad alta disoccupazione. Nei centri antiviolenza trovano lo psicologo, l’assistente sociale e il mediatore culturale ma anche l’avvocato gratuito per le denunce, le cause di divorzio o di affido dei figli, si cerca anche di indirizzarle verso corsi per il ritorno nel mercato del lavoro e, in alcuni casi, il sostegno per la creazione di cooperative. Poi ci sono i consulenti per i gruppi di autoaiuto, in cui le donne imparano a sostenersi e fare rete: «È importante – conclude Ambrosio – perché scoprono che non è colpa loro, l’incubo in cui vivevano non è frutto di una loro mancanza ma è un fenomeno più generale, che ha a che fare con la distorsione dei rapporti. Le rende protagoniste di un percorso comune».
Dei 49 i Cav campani, solo due si occupano di uomini maltrattanti (uno a Napoli, l’altro a Pontecagnano). Le statistiche raccontano di una regione non ai primi posti in fatto di abusi di genere. Secondo il rapporto Eures sul femminicidio, in Campania si è passati da 31 nel 2015 a 16 l’anno scorso. L’Istituto Demoskopika ha analizzato il quinquennio 2010-2014: la Campania è le regione italiana con meno violenze sessuali con 47 episodi denunciati. I numeri però salgono se si amplia il raggio agli episodi di violenza: si passa infatti a 1.162. All’ospedale Cardarelli di Napoli è attivo il Codice rosa a sostegno delle vittime di abusi: da gennaio a ottobre 2017, sono stati 144 i casi seguiti, tre riguardavano minori, nove donne straniere, due hanno denunciato una violenza sessuale, 96 hanno scelto di seguire il percorso psicologico. Il Consiglio regionale ieri ha approvato la legge per favorire l’autonomia personale, sociale ed economica delle donne vittime di violenza e dei loro figli. Stanziati 100mila euro per il 2018 e 100mila per il 2019.
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