Quando l’Italia vinse tre volte
Era un lunedì, ma quel giorno non ripartì solo la settimana. Il 5 luglio di quarant’anni fa cambiò un intero Paese, senza che nessuno se ne accorgesse subito. Quel pomeriggio l’Italia sconfisse tre volte la squadra più bella del mondo, superò tre volte il Brasile di Socrates e Zico, Dino Zoff scendendo le scale sfiorò le spalle di Enzo Bearzot, gli si avvicinò come fanno i nipoti con i nonni e lo baciò sulla guancia. Quel pomeriggio, quando un sole di fuoco andò a tramontare, l’Italia vinse il suo terzo campionato del mondo, il primo di un Paese democratico e repubblicano. Probabilmente, almeno fin qui, anche l’ultimo. Ora non fidatevi troppo delle statistiche, della cronaca e della memoria: chi racconta che la vittoria arrivò la domenica dopo, non di pomeriggio ma di notte, non a Barcellona, ma a Madrid, non dopo Italia-Brasile 3-2, ma alla fine di Italia Germania 3-1 ha in parte ragione, ma non del tutto.
Quella notte, quella della finale al Santiago Bernabeu, quando Alessandro detto Spillo Altobelli punse in rete il pallone del 3-0, il presidente della Repubblica Italiana, il socialista Sandro Pertini schizzo in piedi come un ragazzino. Stava per compiere 86 anni, ne dimostrava 16. Sventolando la pipa guardò in basso, cercò in panchina lo sguardo del suo amico commissario Bearzot e gridò: «Non ci prendono più, non ci prendono più, non ci prendono più». Aveva ragione. Ma era da quel pomeriggio del 5 luglio che la grande fuga era iniziata.
Quell’Italia del pallone era stata presa a calci da tutti. E adesso trascinava tutti fuori dalla notte. Hanno scritto che quel giorno l’Italia uscì dagli Anni di Piombo, la storia racconta che in realtà non andò così. C’eravamo lasciati alle spalle il rapimento e l’assassinio di Aldo Moro, la strage fascista di Bologna e quella di Ustica. Il presidente del Consiglio era un repubblicano, Giovanni Spadolini, sempre più in affanno. Lascerà a fine anno per un esecutivo lampo del solito Amintore Fanfani, ma in realtà la poltrona di palazzo Chigi era già stata prenotata da Bettino Craxi per quel governo che durerà tre anni, fino all’estate del 1986, senza interruzioni, segnando in quell’agosto un record. Il primato resisterà fino a Silvio Berlusconi, ma questa è decisamente un’altra storia.
Quell’estate del 1982 liberò l’Italia, la preparò a diventare un Paese a trazione socialista, con un Presidente partigiano che nei comizi nella sua Genova (in realtà Pertini era nato a fine nel 1898 in provincia di Savona) indicava a Est e diceva solo là esiste la salvezza. A Pertini i comunisti non dispiacevano, anzi. A Craxi piacevano decisamente meno, sapeva bene che per sopravvivere e crescere il suo Psi aveva bisogno di diventare alternativo al Pci di Enrico Berlinguer.
Questa era l’Italia che partì vincendo un Mondiale. Perché quello del 1982 resterà il più bel Mondiale vinto dagli italiani è facile da capire. Ah, è così almeno per chi c’era e magari quel 5 luglio compiva 13 anni festeggiando con succhi Santàl, eccellenza (ma allora, grazie al cielo, non si diceva così) di un colosso, Parmalat, che sembrava inaffondabile. Era un’Italia semplice, che aveva ancora dei sogni e li voleva realizzare. Puntava a una crescita felice e lo faceva senza vergogna. Qualche settimana fa un meraviglioso narratore, Federico Buffa, ci ha ricordato che Bearzot leggeva Orazio. Del filosofo, il selezionatore azzurro amava soprattutto la frugalità. E il rispetto dei ruoli, modo migliore per apprezzarli. Il suo abbraccio con il Presidente, la partita a carte Pertini-Bearzot-Zoff-Causio sul volo che riportava l’Italia in Italia, raccontavano di un amore popolare per la politica o almeno per alcuni dei suoi protagonisti. Nulla da spartire con la vittoria del 2006, quando l’Italia di Marcello Lippi non sopportò (a torto o a ragione) quei ministri che saltarono sul carro dei vincitori. Ma quello era ormai un altro Paese, pronto a riempire tre anni dopo le piazze con i vaffa grillini. Quella del 2006 fu già una festa arrabbiata, quarant’anni fa le piazze italiane celebravano una nuova liberazione.
Quel lunedì 5 luglio 1982 l’eroe si chiamava Paolo Rossi, faceva l’attaccante e il fatto che neppure lui ci sia più è una gran tristezza. Sul suo profilo whatsapp aveva una scritta: «Meglio un uovo oggi che una gallina domani». Un altro di quegli eroi, Marco Tardelli, ci regalò il gol del 2-0 nella finale contro la Germania, l’esultanza più bella della storia del calcio, la migliore estate della nostra vita. Tardelli leggeva anche il Manifesto e non come faceva Adriano Panatta che lo appoggiava sul tavolo per far infuriare Mario Berardinelli, il dirigente che guidò l’Italia del tennis alla vittoria in Coppa Davis, nel Cile di Pinochet. Tardelli ora che non segna più fa correre le proprie idee. Sempre in direzione ostinata e contraria. Sulla foto di uno dei suoi profili è sdraiato su un prato con il suo amico Paolo Rossi. Stanno in mezzo alla gente, non dicono nulla, dicono tutto: le cose semplici sono le più belle. E anche se ti riprendono puoi sempre ripartire.
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