Quando i ghiacciai si sciolgono a casa nostra
Allarme clima Partire dalla montagna di Courmayeur e arrivare a riflettere sulle politiche climatiche e strategie aziendali non è certo il classico «percorso» che ci si aspetta di compiere parlando di uno dei più bei ghiacciai italiani, ma è forse la cosa più importante che ognuno di noi può fare
Allarme clima Partire dalla montagna di Courmayeur e arrivare a riflettere sulle politiche climatiche e strategie aziendali non è certo il classico «percorso» che ci si aspetta di compiere parlando di uno dei più bei ghiacciai italiani, ma è forse la cosa più importante che ognuno di noi può fare
Ci sono spettacoli della natura che si ripetono ogni anno: la fioritura delle lenticchie di Castelluccio, le migrazioni delle rondini che tornano in Italia in primavera, il risveglio degli animali dal letargo. Ci sono però anche segnali di allarme che la natura ci manda sempre più spesso, ormai addirittura con cadenza annuale, come lo scioglimento dei ghiacciai e il rischio di crollo di intere pareti di montagna. Succede in Italia, a Courmayeur per la precisione.
Dove lo scorso anno è stata dichiarata l’allerta rossa a causa del possibile crollo di una parte del ghiacciaio Planpincieux, nella Val Ferret. A meno di 12 mesi di distanza l’incubo è tornato: stesso posto, stesso potenziale disastro. Pochi giorni fa, il 6 agosto, il sindaco di Courmayeur si è trovato a firmare nuovamente un’ordinanza di evacuazione che ha riguardato oltre 70 persone. Da un giorno all’altro la valle si è svuotata, le migliaia di viaggiatori che popolavano i sentieri montani, i ristoranti e le strutture alberghiere sono andate via, con enormi danni per l’economia della zona.
Ma tutto questo finirebbe drammaticamente in secondo piano qualora il crollo del ghiacciaio avvenisse davvero, al contrario di quanto accaduto lo scorso quando il pericolo è stato scongiurato grazie ad un aumento delle temperature. Parliamo di una massa grande quanto il duomo di Milano, che staccandosi rischia di fare molta strada rispetto al punto di impatto, creando così un effetto aerosol paragonabile ad una valanga invernale.
Nelle prossime ore si capirà l’evoluzione della situazione, e la speranza di tutti è che anche per quest’anno Courmayeur possa tirare un sospiro di sollievo, e con lei l’Italia e il mondo intero. Ma non si può e non si deve sperare solo nella fortuna, occorre agire per fermare i cambiamenti climatici, vera causa di questi potenziali disastri che ormai si ripetono annualmente anche in Italia.
Quando i giovani, le associazioni della società civile e perfino il papa chiedono di smettere di bruciare gas, petrolio e carbone, si stanno battendo per evitare fenomeni come questi. Nessuno può auspicare un futuro in cui sia sempre più «normale» la distruzione dei ghiacciai italiani. Nonostante l’Italia sia uno dei Paesi più a rischio della fascia mediterranea in relazione ai cambiamenti climatici, la cosa non sembra interessare la più grande azienda di Stato del Paese, l’Eni. L’azienda che fu di Mattei, e che ha costruito le sue fortune bruciando petrolio e gas, non ha alcuna intenzione di smettere. Nascondendosi dietro un’immagine tinta di verde, nei prossimi anni Eni vuole aumentare la propria produzione inquinante di idrocarburi.
Una strategia aziendale che stride rispetto a drammi come quello che vive la Val Ferret in questi giorni, e che sembra ancor più grave se paragonata alle azioni di alcune altre aziende del settore. È infatti notizia di pochi giorni fa che British Petroleum, compagnia petrolifera britannica, diminuirà del 40% la propria produzione entro il 2030. Eni, invece, intende aumentarla del 15% nei prossimi 5 anni. E poiché Eni è un’azienda di stato, buona parte della responsabilità ricade anche sul governo, impegnato in numerosi annunci sul clima a cui però seguono pochi e troppo timidi provvedimenti.
A cominciare dal Piano Nazionale Integrato Energia e Clima, che punta tutto sul gas fossile – seguendo perfettamente gli interessi di Eni – e concludendo con la riconferma ai vertici dell’azienda di Claudio De Scalzi, coinvolto in alcuni procedimenti giudiziari e grande promotore della strategia a gas del «cane a sei zampe». Per un’azienda che vive nel passato nascondendosi dietro slogan moderni e accattivanti, ci sono però altre realtà – anche italiane – che fanno passi avanti. È il caso di Unicredit, uno dei più grandi gruppi bancari italiani, che pochi giorni fa ha annunciato che eliminerà entro il 2028 tutti gli investimenti legati al carbone.
Certamente non è abbastanza: ci si attende che banche e assicurazioni chiudano del tutto il rubinetto ai combustibili fossili, gas e petrolio inclusi, ma è comunque un grande passo avanti che mette pressione sugli altri gruppi finanziari, a cominciare da Intesa Sanpaolo che nella lotta alla crisi climatica è pericolosamente latitante.
Partire dalla montagna di Courmayeur e arrivare a riflettere sulle politiche climatiche e strategie aziendali non è certo il classico «percorso» che ci si aspetta di compiere parlando di uno dei più bei ghiacciai italiani, ma è forse la cosa più importante che ognuno di noi può fare per difendere queste bellezze naturali, ed evitare che il crollo dei ghiacciai italiani diventi un dramma reiterato nel tempo.
* responsabile della campagna Clima e Energia Greenpeace Italia
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