Quando Bauman lo definiva «our dear chap»
Il mio amico Benedetto Vecchi è morto il 6 gennaio, ancora giovane, divorato da una malattia che lo ha piagato nel corpo per quasi tre anni ma che non gli […]
Il mio amico Benedetto Vecchi è morto il 6 gennaio, ancora giovane, divorato da una malattia che lo ha piagato nel corpo per quasi tre anni ma che non gli […]
Il mio amico Benedetto Vecchi è morto il 6 gennaio, ancora giovane, divorato da una malattia che lo ha piagato nel corpo per quasi tre anni ma che non gli ha impedito di continuare a lavorare alacremente per il manifesto, di cui ha curato le pagine culturali negli ultimi decenni.
Era rigoroso e gentile. E Bauman, con cui aveva scritto Intervista sull’identità, quando ne parlavamo lo definiva «our dear chap».
Un aspetto che lo accomunava a Bauman nel nostro rapporto era la convivialità: con entrambi ho mangiato, bevuto, fumato e conversato tante volte, ed entrambi erano capaci di riversare la propria ricchezza interiore in interscambi sempre fertili.
Una delle ultime recensioni di Benedetto è stata proprio quella del mio memoir «Bauman e Maggie».
Oggi non c’è più neanche lui ed è una notizia molto triste, che devo ancora metabolizzare, ma intanto desidero condividerla inviandovi la copertina del mio preferito fra i suoi libri e con quelle dei miei due ultimi libri in cui aleggia lo spirito di Bauman, di cui proprio il 9 gennaio ricorre il terzo anniversario della scomparsa.
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