Internazionale

Proteste di Kobane, si apre il processo (politico) all’Hdp

Proteste di Kobane, si apre il processo (politico) all’HdpSostenitori dell’Hdp, lo scorso febbraio, fuori dal tribunale di Istanbul durante uno dei tanti processi a carico dell’ex co-leader Demirtas – Ap

Turchia Ieri prima udienza per i fatti del 2014: 29 capi d’accusa e 108 imputati. Benifei (Pd): «Era giusto essere presenti. Il giudice ha reso palesi i suoi preconcetti: ha già deciso per la condanna»

Pubblicato più di 3 anni faEdizione del 27 aprile 2021

Selahattin Demirtas e Figen Yuksekdag sono gli ex co-presidenti del Partito democratico del Popoli (Hdp) e sono in carcere dal novembre 2016. Cihan Erdal è uno studente alla Carleton University in Canada ed è in carcere dal settembre scorso.

In comune hanno l’accusa che pende sulle loro teste e su quelle di altri 106 membri e sostenitori dell’Hdp: aver incitato nel 2014 le cosiddette proteste di Kobane, esplose nel sud-est turco a maggioranza curda contro l’invasione da parte dell’Isis della città curdo-siriana e il sostegno peloso del governo di Ankara al progetto islamista. Ieri si è aperto il processo di massa.

DA ANNI, SU PRESSIONE di esponenti dell’esecutivo, procure amiche utilizzano quegli eventi per incarcerare migliaia di persone. Lo fanno tuttora e il caso di Erdal ne è l’esempio: 32 anni, dottorando in Canada e attivista per i diritti umani, è stato arrestato per «incitamento alla violenza». Aveva rilanciato un post di Demirtas su Facebook.

A gennaio è stato incriminato per aver incoraggiato le proteste di Kobane. Per lui si è mosso ieri anche il gruppo di lavoro dell’Onu sulle detenzioni arbitrarie. Il Palazzo di Vetro non è solo: l’attenzione internazionale intorno al processo è altissima, in aula erano presenti osservatori stranieri ed europarlamentari.

LA VICENDA È NOTA: tra ottobre e novembre del 2014, dopo l’occupazione islamista di Kobane migliaia di persone, per lo più curdi, scesero in piazza nel sud est della Turchia contro l’apatia del governo a difesa del cantone siriano, a cui fece da contraltare la solerzia nell’impedire che gli attivisti curdo-turchi portassero aiuti alla città sotto assedio.

Il confine venne sbarrato, mentre la gendarmeria apriva il fuoco: morirono – i numeri restano incerti – tra i 46 e i 53 manifestanti. L’inchiesta, aperta nel 2019, è stata battezzata «Operazione Pkk/Kck» (il Partito curdo dei Lavoratori e l’Unione delle Comunità del Kurdistan, la federazione-ombrello di cui fanno parte i vari movimenti curdi di Turchia, Siria, Iraq e Iran che si ispirano alla teorizzazione di Abdullah Ocalan) nell’idea che sia stato il Pkk a ispirare la protesta e a trarne vantaggio.

VEDE ALLA SBARRA ex deputati, ex e attuali membri del comitato esecutivo dell’Hdp, sindaci. E attivisti come Erdal. Tutti accusati di 29 crimini diversi, tra cui omicidio, attentato all’unità dello Stato, danneggiamento di 197 scuole e 296 edifici pubblici e saccheggio di 1.731 abitazioni, reati per cui rischiano l’ergastolo.

Ieri il procedimento si è aperto in un’atmosfera avvelenata: «Il processo oggi è iniziato mostrando da subito la sua natura politica – ci racconta al telefono da Ankara, dove ha seguito l’udienza, l’europarlamentare del Pd Brando Benifei – Non ci è stato permesso di filmare ma avevamo più di un interprete. Il giudice ha battibeccato con Demirtas, dicendogli di non aver paura di lui».

«Queste sono frasi rivelatorie – prosegue Benifei – dell’atteggiamento di preconcetto del giudice che sembra avere già chiaro di voler andare verso una condanna. Un’impressione che abbiamo avuto noi e gli avvocati. La scelta è stata quella di chiedere la ricusazione del giudice che non ha seguito la procedura corretta: ha proseguito. Gli avvocati sono andati via e hanno disertato l’udienza».

ANCHE L’HDP, accusato di essere l’incitatore delle violenze con obiettivi terroristici, parla di «processo politico», tassello di una più vasta campagna per sradicarlo dal parlamento e dalle strade: arresti, commissariamenti di centinaia di comuni, denunce per metterlo al bando.

«È chiaro – conclude Benifei – che sotto processo c’è la possibilità dell’Hdp di fare politica ed è condannata la solidarietà nei confronti dei curdi che si sono battuti contro l’Isis a Kobane. Per questo era giusto essere presenti, anche per rispondere a una chiamata di vicinanza che ci è stata lanciata dall’Hdp. Penso che sia nostro dovere come parlamentari europei non abbandonare i curdi che vivono questa situazione di forte contrasto al proprio diritto di esistere».

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