È servita una sola votazione al Csm per eleggere il successore di Federico Cafiero De Raho come Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo. Si tratta di Giovanni Melillo, 61 anni, capo della procura di Napoli, dotato di curriculum solido sia dal punto di vista istituzionale (è stato consulente della presidenza della Repubblica ai tempi di Ciampi e capo di gabinetto del ministro della giustizia Orlando tra il 2014 e il 2017) sia da quello giudiziario, prima come pretore e poi con vari incarichi investigativi nell’antimafia.

Marta Cartabia
A trent’anni dalla stagione delle stragi avrà l’alto compito di continuare a proiettare nelle sfide attuali le idee innovatrici di Giovanni Falcone

IL BALLOTTAGGIO ipotizzato alla vigilia non è servito: al plenum Melillo ha raccolto subito 13 voti contro i 7 del procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri e i 5 di Giovanni Russo. Il risultato netto, tuttavia, non riesce a nascondere la profonda spaccatura che attraversa l’organo di autogoverno della magistratura italiana. La geografia del voto mette in chiaro quali sono le parti in causa e come si sono posizionate. I 13 voti di Melillo sono quelli del presidente della Cassazione Pietro Curzio, del procuratore generale Giovanni Salvi, dei 5 consiglieri di Area (corrente di sinistra a cui è iscritto), dei 3 dei centristi di Unicost, dei laici 5 Stelle Benedetti e Donati e di Cerabona, laico di Forza Italia. Gratteri ha dal canto suo ottenuto tutte e 4 le preferenze di Autonomia e Indipendenza, la corrente fondata da Davigo (l’indipendente Di Matteo, Ardita,Marra e Pepe), i due laici della Lega Cavenna e Basile e il 5 Stelle Gigliotti. Per Russo, infine, si sono espressi i 4 della corrente di destra Magistratura Indipendente e il laico Lanzi (Fi).

I centristi di Unicost e la sinistra di Area sono tornati dunque insieme dopo la tempesta scatenata ai tempi di Palamara, che spaccò la coalizione storica e, di fatto, con le sue manovre aprì lo scontro che ancora oggi dura nel mondo della magistratura e che non sembra esattamente vicino alla sua conclusione, anzi.

DURANTE le due ore e mezza di dibatto («molto rispettoso», ha detto il vicepresidente David Ermini) a palazzo dei Marescialli, Di Matteo ha presentato la candidatura di Gratteri con toni da apocalisse: «Il suo è il nome più idoneo a dare rinnovato slancio alla Dna. Si tratta di uno dei magistrati più esposti al rischio, sono state acquisite notizie circostanziate di possibili attentati nei suoi confronti poiché in ambienti mafiosi ne percepiscono l’azione come un ostacolo e un pericolo concreto. Una sua bocciatura non verrebbe compresa da quell’opinione pubblica ancora sensibile al tema della lotta alla mafia e agli occhi dei mafiosi risulterebbe come una presa di distanza istituzionale da un magistrato così esposto».

O lui o il diluvio, dunque. Il pm della presunta trattativa stato-mafia è arrivato anche a evocare (pur senza citarlo) il precedente pesantissimo del 1988, quando il Csm preferì Antonino Meli a Giovanni Falcone come dirigente dell’Ufficio istruzione del tribunale di Palermo. «Dobbiamo avvertire la responsabilità di non cadere negli errori del passato che troppe volte hanno tragicamente macchiato le scelte del Csm in tema di lotta alla mafia e che in certi casi hanno creato quelle condizioni di isolamento istituzionale che hanno costituito il terreno più fertile per omicidi e stragi», ha affondato il colpo Di Matteo. Sulla stessa linea anche Ardita: «La tradizione del Csm è di essere organo abituato a deludere le aspirazioni professionali dei magistrati particolarmente esposti nel contrasto alla criminalità organizzata. L’esclusione di Gratteri sarebbe non solo la bocciatura del suo impegno, ma anche un segnale devastante a tutto l’apparato istituzionale e al movimento antimafia». A tutto questo ha replicato Giuseppe Cascini di Area: «Sono stato il primo ad aprire una pratica a tutela del procuratore Gratteri. Nell’enfatizzare gli aspetti positivi del proprio candidato non si deve dimenticare la figura professionale degli altri».

A nomina di Melillo avvenuta, comunque, a citare direttamente Falcone ci ha pensato la ministra Marta Cartabia, sia pure con toni e modi ben diversi rispetto a Di Matteo e Ardita: «A trent’anni dalla stagione delle stragi va ora a Melillo l’alto compito di continuare a proiettare nelle sfide attuali le idee innovatrici di Giovanni Falcone».

In via Arenula la firma per la nomina di Melillo è attesa a strettissimo giro di posta, anche per consentire al nuovo capo della Dna di aprire oggi a Palermo il congresso dei procuratori generali europei, evento che in qualche modo apre il trentennale della strage di Capaci. Appresa la notizia della sua vittoria, ieri pomeriggio Melillo ha salutato con un brindisi i colleghi del tribunale di Napoli e ha nominato come reggente della procura Rosa Volpe, nota alle cronache soprattutto come pm del caso Klaps, finito con la condanna a trent’anni dell’imputato Danilo Restivo.