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«Presi di mira» i consultori. Nel Lazio la metà di quelli previsti per legge

Presidio di fronte l’Asl Roma 3 contro la chiusura dei consultoriPresidio di fronte l’Asl Roma 3 contro la chiusura dei consultori

Roma Chiuse o spostate strutture che erano punto di riferimento delle studentesse

Pubblicato 13 minuti faEdizione del 29 settembre 2024

«Può essere dannoso per il feto auscultare il battito prima del terzo mese, soprattutto se poi la donna decide di non abortire», afferma Tullia Todros, ginecologa e parte della rete Laiga 194. «È scritto su tutte le linee guida scientifiche internazionali». Todros fa riferimento a «Un cuore che batte», la legge di iniziativa popolare presentata lo scorso dicembre dall’associazione “Ora et labora in difesa della vita” e da altri organismi che operano «nella promozione dei valori a difesa della vita», come si legge sul testo della proposta. L’obiettivo sarebbe introdurre per i medici l’obbligo di far ascoltare il battito cardiaco del feto alle donne che chiedono di abortire. Una contraddizione e un rischio, per Todros, oltre che una pratica violenta.

Le piazze di molte città italiane e non solo si sono riempite ieri in occasione della Giornata internazionale per l’aborto libero, sicuro e gratuito. E corre l’obbligo ricordare che mentre nel nostro Paese l’interruzione volontaria di gravidanza (Ivg) è stata una conquista dei movimenti femministi dell’epoca, la svolta sull’emancipazione femminile che ha portato a una trasformazione significativa del rapporto delle donne con il proprio corpo, con la sessualità e alla riconsiderazione del proprio ruolo all’interno della famiglia e della società, è arrivata però con l’istituzione dei consultori familiari, grazie alla legge n. 405 del 1975. Nei consultori le donne e le ragazze hanno trovato un luogo di ascolto e di assistenza socio-sanitaria, aperta a tutte e gratuita.

«Dopo la scuola, il nostro punto di riferimento era il consultorio», ricorda Elena (nome di fantasia), studentessa del liceo Montale di Roma. È preoccupata perché il consultorio di Via della Consolata, nel quartiere periferico Bravetta, è stato chiuso il 17 settembre. Le ragazze dei licei Montale, Malpighi e della scuola media Martinelli avevano come punto di riferimento quel consultorio per la somministrazione dei contraccettivi. Lo usavano anche per ritrovarsi nello spazio giovani e per altre prestazioni sanitarie. Il presidio di via della Consolata verrà spostato a circa 2 chilometri di distanza, ma i collegamenti tramite i mezzi pubblici sono quasi assenti. Le attiviste per i diritti delle donne hanno fatto presente alla direzione dell’Asl che lo spostamento del consultorio comporta una difficoltà non solo per le studentesse, ma anche per le persone che hanno problemi di deambulazione. «Mi sembra che tutti i consultori siano presi di mira», denuncia Concetta Fabrizi, consigliera del Municipio XII di Roma. Anche nel quartiere di Corviale, infatti, le porte del consultorio si sono chiuse a luglio scorso. E così, gradualmente, nel resto del Paese.

Nel consultorio di via della Consolata veniva praticato l’aborto farmacologico, che consiste nell’assunzione di due pillole a 36-48 ore di distanza. L’ufficio stampa dell’Asl Roma 3 dichiara che la chiusura di via della Consolata è dovuta a lavori di messa in sicurezza della struttura che non possono più essere rinviati. E assicura che non ci sarà alcun taglio del personale e che il direttore amministrativo effettuerà presto dei sopralluoghi nei locali dei consultori per verificare le criticità sollevate dalle attiviste.

Secondo i dati Istat, nel Lazio ci sono 135 consultori per 5,7 milioni di abitanti: un consultorio ogni 40.000 abitanti circa, la metà di quelli previsti dalla legge. La consigliera regionale del Lazio Eleonora Mattia (Pd) lo scorso gennaio ha presentato un’interrogazione al presidente Francesco Rocca e alla Regione per chiedere di rispettare gli standard previsti in materia di consultori. In risposta, la Regione ha riportato le conclusioni di una relazione del ministro della Salute risalente al 2021, da cui risulta che su 239 ginecologi 166 sono obiettori e solo 73 non obiettori, con una percentuale di obiezione di coscienza del 69,7%. Non sono stati forniti i dati relativi al 2022 e 2023. Adriana Bruno, ginecologa e attivista per i diritti delle donne, è convinta: «Non dobbiamo abbassare la guardia. Neanche un po’».

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