Il termine per presentare gli emendamenti al ddl Casellati sul premierato elettivo è fissato al 27 gennaio, un’eternità nella tempistica della politica italiana che si fonda sull’efficacia di un post su X o su Instagram. Perché dunque la maggioranza ha deciso di anticipare a ieri mattina il vertice sul premierato? La risposta a questa domanda spiega anche l’esito dell’incontro a cui erano presenti i ministri Casellati e Ciriani, i capigruppo del centrodestra in commissione Affari costituzionali del Senato, i presidenti dei gruppi Malan, Romeo e Gasparri, il presidente della commissione e relatore Alberto Balboni e il libero pensatore Marcello Pera, unico a non avere i requisiti di un titolo per essere presente.

L’anticipazione del vertice era dovuta alla necessità di dare subito una risposta al “partito del Quirinale”, che nell’ultima giornata di audizione, martedì scorso, attraverso Sabino Cassese aveva lanciato un appello alla maggioranza: rinunciare all’elezione diretta del premier, varare una riforma condivisa con almeno parte delle opposizioni e intervenire semmai sui poteri del premier e sulla legge elettorale per dare stabilità agli esecutivi.

Al vertice di ieri mattina è emerso un “non possumus” a tale richiesta. All’uscita tutti i partecipanti hanno espresso due concetti: in primo luogo tutte le eventuali modifiche saranno concordate e gli «eventuali emendamenti» (sintagma ripetuto da tutti) saranno concordati tra i gruppi, con emendamenti firmati da tutti i capigruppo o, meglio ancora, dal relatore Balboni, che nel suo ruolo può presentarli anche dopo la scadenza del 27 gennaio; il secondo concetto è che l’elezione diretta del premier «è irrinunciabile» come ha chiarito Casellati.

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Insomma il “partito del Quirinale” se ne faccia una ragione, e il Colle si acconci a gestire una fase di scontro politico ancora più acceso, con buona pace del messaggio di fine anno e il suo appello all’unità di intenti. «Non ci saranno fughe in avanti né da parte dei singoli gruppi né da parte dei singoli senatori» sugli emendamenti, ha pure affermato Ciriani: insomma anche Pera si è adeguato al mood gladiatorio di Meloni. Il suo desiderio di fare da grande mediatore per ora va nel cassetto.

Sui contenuti si è entrati solo relativamente nel merito, accordandosi sul fatto che la Lega è disposta a cedere su alcuni punti (per esempio sulla la cosiddetta norma antiribaltone, ma per ora non sulla fiducia del parlamento al governo nonostante l’elezione popolare del premier), avendo la certezza di condurre in porto entro fine mese l’Autonomia differenziata, che sarà in Aula il 16 gennaio dopo che la maggioranza ha impedito che – come sarebbe stato logico – si discutesse prima il disegno di legge costituzionale di iniziativa popolare che se approvato imporrebbe di rivedere del tutto il disegno di legge Calderoli. Comunque sia, «prima vedere cammello» dell’Autonomia: quindi nuovo vertice a ridosso del 27 gennaio.

L’intenzione spiegata da Balboni è di concludere i lavori entro febbraio, e portare in Aula la riforma a marzo. Questo permetterebbe di concludere la doppia lettura conforme anche alla Camera prima delle europee di giugno? Piuttosto difficile, anche perché Montecitorio non dovrebbe mutare nemmeno una virgola. Molto dipenderà anche da come le opposizioni riusciranno a condurre la battaglia parlamentare e da come il mondo sociale ed accademico – espressosi in massa contro il ddl – saprà far sentire la propria voce. Ma potrebbe anche darsi che Meloni non spinga per il sì della Camera prima delle europee. Anche per non accelerare il referendum confermativo alla primavera 2025.

Il referendum dunque. Sarà una vera elezione di mid term e qualsiasi premier e governo lo temerebbe, specie nello scenario identico a quello di Renzi del 2016, vale a dire «noi contro il resto del mondo». Meloni tuttavia non lo teme, ed è questo l’input che ha fatto da cornice al vertice sul premierato. Perché? Qualcuno sostiene sia l’hybris che colpisce tutti i parvenu (o underdog) che arrivano a Palazzo Chigi. Ma nella maggioranza c’è la convinzione che la partita sarebbe vinta in un confronto personalizzato, Meloni contro Schlein e il suo malconcio Pd, o anche contro Conte, se ci sarà il sorpasso alle europee.