Una premessa: nell’anno del Leicester che vince la Premier League può accadere di tutto. Anche di battere a domicilio la favorita numero uno del torneo, con il bus d’ordinanza già in bella vista e commozione collettiva di un Paese che ha sofferto parecchio negli ultimi mesi, vincendo il primo trofeo della storia e senza il suo fuoriclasse. Il Portogallo che due sere fa ha sfilato gli Europei alla Francia è la polaroid del bello del calcio, con le sue sceneggiature complicate.

Coppa in alto senza Cristiano Ronaldo, messo fuori uso da Payet e capotifoso, anzi allenatore in seconda a bordocampo nei supplementari, perché è vero che i fuoriclasse cambiano la storia, la faccia dei tornei ma a volte è la storia a fare a meno di loro. E regge poco il commento a posteriori sul collettivo che trionfa sul singolo, con i lusitani che hanno moltiplicato le forze per sopperire all’assenza dell’asso del Real Madrid.

Sarà vero, non c’è la controprova di un successo con Ronaldo in campo sino alla fine dei supplementari ma l’asso del Real Madrid visto in finale e nel corso del torneo – a mezzo servizio per problemi fisici – è stato leader tecnico ed emotivo della Nazionale portoghese, mai slegato dal contesto, dentro le partite anche se lo scatto, il guizzo sotto porta non era quello di solito ammirando con i galacticos. Riscattando così la figuraccia maturata 12 anni prima, Portogallo battuto in finale negli Europei di casa contro la Grecia di Dellas, Zagorakis e Charisteas, una delle serate più sorprendenti nella storia recente dello sport. E oltre a Ronaldo, ai vari Pepe (che è senza equilibrio ma anche il miglior difensore del torneo), il giovane prodigio Renato Sanches, Nani c’è anche il commissario tecnico portoghese Fernando Santos, l’ingegnere devoto a Dio, un Normal One che ha normalizzato il talento, gestito l’anarchia, che ha saputo scendere a compromessi con lo storico vizio dei lusitani, palleggio, palleggio ancora palleggio senza verticalizzazioni e tiri in porta, rafforzando la fase difensiva, creando un sentimento collettivo che ha portato al titolo.

Piuttosto, tra le varie sentenze che arrivano dalla Francia c’è il mancato salto di qualità atteso da ogni angolo d’Europa di Paul Pogba, obiettivo di Manchester United e Real Madrid, assegni a otto cifre pronti a sbarcare sulle scrivanie della Juventus. Non è stata la sua competizione, avvistati brani del suo talento, che resta notevole ma la corsa a definirlo fuoriclasse, leader è per ora fallita, nonostante gli house organ del pensiero bianconero e quelli più vicini ne hanno magnificato le lodi in ogni articolo o salotto televisivo. E forse è anche normale, Pogba non è Zidane, non è Totti, non può esserlo in quanto tale. E la maturazione per centrocampisti come lui, ancora senza un ruolo definito, avviene più in avanti, tra due-tre anni. Ma le plusvalenze (per i bianconeri) e le percentuali (al procuratore di Pogba, Mino Raiola) possono arrivare subito, non tra tre anni, quindi bene (per loro) cavalcare l’onda e trovare l’assegno da oltre cento milioni.

E tra le altre istantanee di Euro 2016, che ha regalato grandi gol (Hamsik, Shaqiri, Payet, Ronaldo), qualche star deludente (Ibrahimovic, Lewandowski, Rooney) ma anche una qualità media piuttosto bassa, la formula a 24 Nazionali, alla prima assoluta, ha portato in Francia squadre di basso livello, senza campioni, con pochi buoni calciatori e un credo tattico: prima non prenderle, chiusi dietro, bus davanti alla porta, direbbe Mou, che ha festeggiato il successo del Portogallo con foto notturna su Instagram. La Svezia, per esempio, ma anche qualificate agli ottavi di finale come Irlanda, Irlanda del Nord, Slovacchia.

Mentre l’Italia di Conte, per quanto visto sul campo, merita ancora qualche rigo, ha battuto Belgio (la delusione della competizione, strada spianata verso la finale prima del brusco stop con il Galles), sigillato il ciclo spagnolo, spaventato e indebolito nelle gambe e nella mente la Germania campione del mondo che poi ha perso in semifinale con la Francia. La traccia lasciata dagli Azzurri, che comunque ha portato dividendi anche ai calciatori (per Graziano Pellè futuro in Cina per 40 milioni di euro in due anni e mezzo) non dovrebbe andar persa, sul campo e negli uffici della Figc.