Polizia e razzismo, lo «sdegno» di Tajani al Consiglio D’Europa
Diritti Al coro si unisce Vannacci: «Giusto controllare gli immigrati» L’organismo spiega: «L’Italia non è l’unico paese monitorato»
Diritti Al coro si unisce Vannacci: «Giusto controllare gli immigrati» L’organismo spiega: «L’Italia non è l’unico paese monitorato»
Il cortocircuito si è reso evidente quando il parlamentare europeo Roberto Vannacci, citato nel rapporto della Commissione contro il razzismo e le discriminazioni del Consiglio d’Europa a proposito della sua tendenza a distribuire patenti di «normalità» a destra e a manca, per difendere le forze dell’ordine italiane ha sostenuto che è giusto adottare la pratica della profilazione razziale, perché i dati direbbero che i migranti sarebbero più propensi a commettere reati. O quando il vicepremier Matteo Salvini ha fornito questo rilevante spunto di riflessione alla polemica che è seguita alla divulgazione del documento: «Se a questi gli piacciono rom e clandestini se li portino a casa loro».
L’ALTRO VICEPREMIER, il ministro degli esteri Antonio Tajani, nel frattempo fa sapere di aver dato istruzioni al Rappresentante permanente d’Italia presso il Consiglio d’Europa, ambasciatore Roberto Martini, di esprimere «il profondo sdegno» del governo italiano: «Non condivido una parola di ciò che è stato scritto», afferma Tajani. Resta ancora incomprensibile il motivo per cui il governo abbia alzato il polverone a pubblicazione del rapporto avvenuta, visto che aveva avuto occasione di leggerne in testo in anteprima e persino di replicare fornendo la propria versione (lo aveva fatto, non dando cenni di indignazione).
A QUESTO PUNTO, tuttavia, dal Consiglio d’Europa si vedono costretti a spiegare che «la commissione europea contro il razzismo e l’intolleranza è un organismo di esperti riconosciuto a livello internazionale, parte del Consiglio d’Europa» e che il dossier incriminato non è parte di un complotto contro l’Italia: «Tutti gli stati membri sono monitorati, come previsto dal mandato del Consiglio d’Europa in materia di diritti umani» E ancora: «Il rapporto dell’Ecri sull’Italia sottolinea principalmente i progressi già compiuti e indica anche le aree di possibile miglioramento: è una dinamica che fa parte del dialogo costruttivo e della cooperazione del Consiglio d’Europa con i paesi membri».
PIÙ CHE SENTIRSI in dovere di difendere l’onore degli uomini in divisa, insomma, la politica italiana dovrebbe capire che sotto attacco non c’è un corpo dello stato in quanto tale ma le modalità in cui viene gestito. Si tratterebbe, ad esempio, di lavorare alla formazione degli agenti: il sapere della polizia, la capacità di discernere le situazioni e leggere i mutamenti sociali, è stato parte dei tentativi di riformarla in senso democratico. E, come insegnano le rivendicazioni del movimento Black Lives Matter che di racial profilation ha qualche esperienza, tagliare le spese destinate a operatori e mediatori culturali significa trasformare questioni sociali in emergenze securitarie e aumentare il rischio che la polizia commetta abusi.
COSÌ, PER LA senatrice di Alleanza Verdi e Sinistra Aurora Floridia è membro della delegazione dei parlamentari italiani nel Consiglio d’Europa, «il vero problema non è la polizia, che è un corpo a servizio di tutte e tutti gli italiani. Il problema è una certa politica che, di fronte a fatti tragici, non esita a lanciare dichiarazioni gravissime e divisive, come quelle di chi afferma che una persona deceduta ‘Non ci mancherà’. Ma i diritti umani, la giustizia e l’uguaglianza non possono essere sacrificati sull’altare della propaganda».
IL CAPOGRUPPO al senato di Alleanza Verdi Sinistra Peppe De Cristofaro sostiene che «il rapporto non può e non deve essere sottovalutato, anche perché proviene da un organismo di grande rilevanza del quale fanno parte parlamentari di vari paesi europei». Quanto alle le forze dell’ordine, per De Cristofaro «è urgente e necessario fare chiarezza e garantire la massima trasparenza. Da oltre quindici anni, chiediamo che anche l’Italia segua l’esempio di altri venti paesi dell’Unione europea, dotandole di un codice alfanumerico identificativo. Lo abbiamo riproposto anche durante la discussione del Ddl Sicurezza. Tuttavia, l’Italia resta ancora l’unico paese in Ue a dire di no a questa misura fondamentale per tutelare i diritti e la trasparenza. E non capiamo il motivo di questa mancata volontà».
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