Una riunione del consiglio regionale del Piemonte con Alberto Cirio
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Piemonte, se l’autonomia si riduce a fotocopia

Una riunione del consiglio regionale del Piemonte con Alberto Cirio – Ansa

Riforme È partita mercoledì sera per Roma la lettera con cui anche il Piemonte chiede al Governo di ricevere al più presto maggiori poteri nelle nove materie in cui la legge […]

Pubblicato 4 mesi faEdizione del 12 luglio 2024

È partita mercoledì sera per Roma la lettera con cui anche il Piemonte chiede al Governo di ricevere al più presto maggiori poteri nelle nove materie in cui la legge Calderoli ha deciso – incostituzionalmente – che non è necessario definire i livelli essenziali delle prestazioni (Lep).

Una mossa che accoda la neo-rinnovata Giunta Cirio ai furori ideologi del leghismo veneto di Luca Zaia, come se il presidente piemontese fosse esponente di un partito chiamato non Forza Italia, ma Forza Piemonte.

Interrogato dai giornalisti, l’assessore all’Autonomia Enrico Bussalino ha ammesso che la lettera piemontese è una fotocopia di quella veneta: così negando, in radice, che le richieste siano espressione delle peculiarità del territorio della regione. Autonomia significa, etimologicamente, darsi le regole da sé: se le copi da un altro, che autonomia è?

Si tratta della dimostrazione più evidente che tra le nuove competenze volute dalle regioni e le esigenze del territorio non vi è alcun legame: le nuove competenze sono richieste per soddisfare la brama di potere delle classi politiche regionali, non certo per meglio governare la regione.

Il tema del fondamento delle richieste regionali è così rilevante da essere stato, nel giugno del 2023, al centro dell’audizione della Banca d’Italia presso la Commissione affari costituzionali del Senato in cui si discuteva il disegno di legge Calderoli.

Scrive la Banca d’Italia nella sua memoria: il ddl Calderoli «lascia ampi margini di incertezza sugli aspetti di merito – in larga parte demandati alle intese bilaterali fra Governo e singole regioni – senza porre alcuna condizione per l’accesso all’autonomia differenziata.

Sarebbe invece consigliabile prevedere un’istruttoria per ciascuna materia (ed eventualmente per specifiche funzioni all’interno della materia considerata), suffragata da un’analisi basata su metodologie condivise, trasparenti e validate dal punto di vista scientifico, per valutare i vantaggi del decentramento rispetto allo status quo – sia per la regione interessata sia per il resto del Paese».

Per un politico, come Alberto Cirio, che afferma d’ispirarsi a Luigi Einaudi, conoscere prima di deliberare dovrebbe essere l’attitudine di base. Esattamente quello che richiede l’istituzione einaudiana per eccellenza, la Banca d’Italia. E, invece, nessuna argomentazione viene avanzata a sostegno delle richieste piemontesi, se non la ripetizione di slogan triti e indimostrati come «più si è vicini, più si è efficienti».

Limitiamoci a brevemente considerare alcune delle materie oggetto delle immediate richieste piemontesi.

Cosa intende fare la regione dei nuovi poteri sulla Protezione civile? L’assessore Bussalino dice che gli interventi saranno più rapidi perché i tecnici saranno sul territorio. E perché, adesso dove sono? E come mai non parla della richiesta di agire in deroga alla normativa antisismica, che pure è tra le richieste piemontesi del 2019?

E i poteri sulle casse di risparmio e sulle aziende di credito a carattere regionale a cosa servono? Quali garanzie offre la Giunta Cirio che non si riproducano casi come quelli di Antonveneta o Monte dei Paschi? E nella gestione del commercio con l’estero lo scopo qual è? È sicura la destra piemontese che il venir meno del sostegno di enti statali come l’Istituto per il commercio estero darà forza, anziché debolezza, alle imprese piemontesi che operano sui mercati internazionali, dove le aziende concorrenti si muovono avendo le spalle coperte dallo Stato di provenienza?

E chi garantisce che l’acquisizione del coordinamento della finanza pubblica regionale non miri a colpire l’autonomia finanziaria dei comuni sostituendo al centralismo dello Stato quello della regione?

La verità è che, essendo configurata in termini ideologici, l’autonomia differenziata garantisce benefici solo alle classi politiche regionali, ma – come dimostra il recente libro di Stefano Fassina, Perché l’autonomia differenziata fa male anche al Nord, Castelvecchi 2024 – rischia di peggiorare la vita di tutti gli italiani, non soltanto di quelli delle regioni meridionali.

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