Cultura

Piccole stazioni balneari sui balconi

Piccole stazioni balneari sui balconiDal mio balcone – Foto di Angelo Ferracuti

Narrazioni/6 Penso a mio padre, che vedendo portar via dal Coronavirus i superstiti della sua generazione, forse si sarebbe esposto come un Don Chisciotte, fregandosene di tutti i divieti.

Pubblicato più di 4 anni fa

In queste prime giornate di sole, i balconi intorno a casa si sono trasformati in piccole stazioni balneari rialzate, la gente sta seduta sulle sdraio a prendere la tintarella con in mano il bicchiere del Campari o una sorsata di birra, i bambini vociano. Li vedi con gli occhiali da sole, le magliette sportive, i cappellini da baseball. Siamo diventati tutti impiegati della vita. Se qualcuno mi chiedesse cosa ho fatto in questi giorni – e con mia moglie ci scherziamo di questa nostra vita da reclusi – direi ho scaricato la lavastoviglie, passato il folletto, portato a spasso il cane, a volte non ricordo più se l’ho fatto oggi o ieri, siamo talmente spaesati che sembra sempre domenica.

Se non ci fossero stati tutti quei morti, morti da soli, tutti i medici, gli infermieri contagiati, e fermi gli aeroporti, fermo il mondo intero, se non fossimo in mano a una classe politica d’incapaci entertainer serali, alla fine la potremmo ricordare tutto questo anche come una bella vacanza, periodo di calma, almeno qui dove vivo, una famiglia della classe media, con Buck, il mio boxer, ormai facciamo coppia fissa, simbiotici giriamo nel perimetro dello stabile, perlustriamo le strade deserte, siamo due schifosi privilegiati. In questi giorni ho scritto molto di più, ma è una cosa che faccio da quarant’anni più o meno nello stesso modo autistico.

Immagino invece che per altri questo periodo sarà un incubo, mi hanno detto all’edicola, una delle mie tappe quotidiane, che è quasi come raggiungere un posto di villeggiatura, che gli imbianchini precari, i muratori russi, le cassiere del supermercato, i magazzinieri, gli elettricisti, gli idraulici che vengono la sera a bere con noi un bicchiere, insomma gli ultimi sono alla canna del gas. Invece vedere i politici negli schermi tv, i Fontana, i Gallera, la faccia insolente di Salvini, i lumbard, gli Zaia, vederli nel fuoco del contagio dare numeri disumani, sembrano gente da avanspettacolo. Vederli con le mascherine malmesse in faccia pare di assistere alla solita Commedia dell’arte, Pantalone, Brighella, Balanzone, gli stessi che hanno distrutto la sanità pubblica mettendo a rischio la vita dei cittadini ora costruiscono ospedali per nessuno, vere e proprie cattedrali nel deserto, e senza nessun conflitto e nessuna reazione in nome dell’emergenza.

È successo in Lombardia e succederà anche qui nelle Marche, un ospedale con i fondi gestiti dall’Ordine dei Cavalieri di Malta, dove Bertolaso, l’uomo di Berlusconi e del terremoto dell’Aquila, l’esperto della destra italiana, arriva a incontrare la giunta regionale guidata da Ceriscioli con una mascherina con valvola, e quando ritorna, solo nove giorni dopo, arriva spavaldo a viso aperto.  È il punto più alto, il più spettacolare della pornografia di questi giorni.

Ogni tanto sotto casa passa l’auto della Protezione civile, dagli altoparlanti parole severe di avvertimento, parole da coprifuoco che scuotono i nervi, e che ricordano altre emergenze politiiche, sociali, arrivano nelle strade a portare la paura, soprattutto ai vecchi del quartiere. In questi giorni ho pensato a mio padre, un supermaratoneta morto l’anno scorso a 92 anni, specialista delle 100 chilometri, recordman della 48 ore su pista no stop, un primato raggiunto a quasi sessant’anni marciando nel campo scuola di Colle San Marco ad Ascoli Piceno per due giorni e facendo 303 chilometri. Vi immaginate far camminare un uomo del genere nel raggio di duecento metri? Avrebbe trasgredito testardamente, sarebbe stato multato dai vigili, ma certo non si sarebbe privato della sua camminata quotidiana che, rimasto vedovo, era il suo utimo soffio di vita, cioè partiva alle otto di mattina e tornava all’ora di pranzo, fermandosi a parlare minimo con 50 persone, in media una ogni cinquecento metri.

Per uno nato nella civiltà contadina e nella cultura orale, e con la sua ostinazione, credo sarebbe stato difficile rimanere imprigionato dentro casa. Vedendo portar via dal Coronavirus i superstiti della sua generazione, forse si sarebbe esposto come un Don Chisciotte, fregandosene di tutti i divieti.

  A volte fantastico che, forse, da un’astronave lontana ci stanno osservando. Vedono le nostre città inquinati, i fiumi morti, le città industriali, i piccoli distretti, i parcheggi dei centri commerciali stipatissimi, tutti condannati a produrre e consumare, ingordi, come direbbe Pasolini «bruttati dalle merci», imbolsiti, i corpi informi, gli aliti puzzolenti, «andare, camminare, lavorare» come cantava Ciampi, tutti in trappola come in criceti sulla ruota. E mi viene in mente un racconto di Asimov, dove c’è un certo Naron, un osservatore delle galassie che controlla lo stato dell’Universo. Quando deve censire la Terra, si accorge che gli esperimenti atomici li facciamo sul nostro pianeta, allora ci depenna, sdegnato, e anzi scrive stizzito: «razza di deficienti»!

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