Piazzale Loreto, fischi per la Lega che nasconde le colpe dei fascisti
Milano Il luogo è stato intitolato ai quindici martiri, trucidati il 10 agosto del 1944 dalla della legione Ettore Muti della Repubblica Sociale Italiana. Durante la cerimonia, banchetti per la raccolta firme contro l'autonomia differenziata
Milano Il luogo è stato intitolato ai quindici martiri, trucidati il 10 agosto del 1944 dalla della legione Ettore Muti della Repubblica Sociale Italiana. Durante la cerimonia, banchetti per la raccolta firme contro l'autonomia differenziata
Da ieri a Milano c’è largo Quindici Martiri di Piazzale Loreto. La targa è stata scoperta durante le commemorazioni ufficiali nell’ottantesimo anniversario della strage. Quindici persone fucilate, quindici antifascisti, i loro corpi oltraggiati, poi lasciati esposti al sole per tutta la giornata, in balia delle mosche e del pubblico ludibrio. Accanto ai corpi, un cartello con scritto «assassini». I responsabili, i militi fascisti della legione Ettore Muti della Repubblica Sociale Italiana, su ordine del comando di sicurezza nazista. «Una ritorsione per l’attentato compiuto due giorni prima in viale Abruzzi dai partigiani gappisti» (che negarono sempre di esserne gli artefici ndr), giustificarono così la barbarie.
I processi successivi a carico di Theodor Saevecke, «il boia di piazzale Loreto», sentenziarono che quello del 10 agosto del 1944 fu un atto premeditato di terrorismo, fatto come monito a carico della cittadinanza milanese per il suo sostegno alla Resistenza. L’unica colpa dei quindici, l’essere antifascisti. Uomini di estrazione politica e sociale diversa, accomunati dal semplice fatto di lottare per la libertà, furono prelevati all’alba dal carcere di san Vittore, uccisi e vilipesi in uno degli episodi più truci ed emblematici della violenza fascista. Non è un caso che all’indomani della cattura e dell’uccisione di Benito Mussolini, i corpi del duce e di Claretta Petacci furono esposti proprio lì.
Circa trecento persone, nonostante il sole cocente e l’afa che non dava tregua, si sono riunite per ricordare quell’evento. In prima fila, i gonfaloni dell’Anpi, del comune di Milano, dei tanti comuni lombardi che hanno voluto esserci. Ogni anno, negli ultimi anni forse ancora di più, la presenza è stata massiccia. Fasce tricolori, fazzoletti partigiani, bandiere dei partiti antifascisti si mischiano. Questa volta, anche un banchetto per la raccolta firme per il referendum contro l’autonomia differenziata. I presenti, carta d’identità alla mano, firmavano eccome. «Viva l’Italia» furono le ultime parole dei martiri. Le stesse parole sono riecheggiate negli interventi di ieri mattina, durante la commemorazione, in una cerimonia che ha unito memoria e ricordo con l’attualizzazione del significato di antifascismo.
«È la difesa dei valori della Resistenza e della Costituzione la priorità dell’antifascismo oggi», ha detto il presidente dell’Anpi provinciale milanese Primo Minelli. Che ha attaccato anche chi, pur ricoprendo cariche di governo, non riesce ancora a prendere le distanze e condannare vecchi e nuovi fascismi. Le parole vergognose di Giorgia Meloni in occasione dell’anniversario della strage di Bologna dello scorso due agosto contro il presidente dell’associazione famigliari delle vittime, Paolo Bolognesi, sono ben chiare ai presenti.
Un po’ meno a Massimo Sertori, semisconosciuto assessore agli enti locali di regione Lombardia, intervenuto in rappresentanza della giunta lombarda. Non è riuscito Sertori nel suo intervento a dire che a compiere quella strage sono stati i fascisti, al servizio dei nazisti. Si è limitato a parlare di «forze di occupazione straniera» beccandosi pure qualche (civilissimo e comprensibilissimo) fischio. O l’assessore non conosce la storia (e allora dovrebbe studiarla) oppure il suo intervento è un tassello (l’ennesimo) di quell’operazione di riscrittura della storia che la destra porta avanti da tempo, alla ricerca di legittimazione attraverso il travisamento di quanto accaduto. Ma ieri, in piazzale Loreto, c’erano (tante) persone che quella storia la conoscono, la diffondono e la vogliono difendere. E anche attualizzarla, visti i tempi che corrono.
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