Piazza della Loggia, il governo non è tra le parti civili. O forse sì
I conti con la storia Polemica sull’assenza all’udienza preliminare. Mantovano: avviso non ricevuto, ci saremo
I conti con la storia Polemica sull’assenza all’udienza preliminare. Mantovano: avviso non ricevuto, ci saremo
La presidenza del Consiglio non si costituisce parte civile al nuovo processo per la strage di piazza della Loggia. Anzi sì. Anzi forse. Ieri mattina, a Brescia, all’apertura dell’udienza preliminare per l’attentato di provata matrice neofascista che il 28 maggio de 1974 uccise 8 persone e ne ferì 102 durante un comizio sindacale, alla presentazione delle parti civili rispondono presente il Comune di Brescia, i familiari delle vittime, Cgil, Cisl e Uil. E basta.
La notizia corre veloce di agenzia in agenzia, da più parti arrivano richieste di chiarimenti, le opposizioni attaccano, vogliono spiegazioni. Poco prima dell’ora di pranzo, con la flemma di chi probabilmente ha tirato il bastoncino più corto, il sottosegretario Alfredo Mantovano è costretto a dichiarare che si è trattato di un disguido, che «la presidenza del Consiglio non aveva ricevuto alcun avviso» e che, comunque, sarà chiesta la riapertura dei termini per la costituzione della parte civile. «Non è una scelta politica», assicura poi il capogruppo di Fdi alla Camera Tommaso Foti.
UNA FIGURA NON brillantissima, a voler essere gentili, anche perché parliamo di Brescia, la città in cui il primo partito del governo ha pochi mesi fa dedicato un suo circolo a Pino Rauti, volontario della Repubblica Sociale, dirigente del Msi, fondatore di Ordine Nuovo, processato per la strage di piazza della Loggia e assolto su richiesta degli stessi magistrati, che per quei fatti lo hanno giudicato responsabile morale ma non penale. L’intitolazione, a dire della stessa dirigenza locale di Fdi, era stata fatta «per ribadire con forza la continuità ideale della nostra comunità politica».
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Piazza della Loggia, il boato di una strage fascistaPer questa che è la quarta inchiesta sulla strage, la procura ha chiesto il rinvio a giudizio di due persone, Roberto Zorzi e Marco «Tomaten» Toffaloni, come esecutori materiali dell’attentato. Nel 2017 la Cassazione ha condannato all’ergastolo in qualità di mandanti gli ordinovisti Carlo Maria Maggi e Maurizio Tramonte (quest’ultimo anche collaboratore del Sid).
IL NUOVO FILONE è la cosiddetta pista veronese, che mette insieme nuovi elementi sull’esplosivo utilizzato e su alcuni incontri, avvenuti proprio nella città veneta, tra esponenti di Ordine Nuovo e pezzi dei servizi segreti italiani. Sullo sfondo resta il cosiddetto «terzo livello», ovvero il presunto coinvolgimento del commando Nato delle Forze terrestri alleate per il Sud Europa, già tirato in ballo dal giudice Guido Salvini ai tempi dell’ultima inchiesta sulla strage di piazza Fontana.
Il processo bresciano, tra le altre cose, servirà a chiarire se l’esplosivo utilizzato nel 1969 a Milano sia dello stesso tipo di quello rinvenuto a Brescia nel 1974. L’ipotesi degli investigatori è che le stragi facessero parte di una più ampia strategia volta ad alimentare la tensione in Italia per indebolire il Pci, i sindacati e alcuni settori della Dc non abbastanza ostili al «pericolo rosso»: un tentativo, cioè, di trasformare la guerra fredda in guerra civile. Dalle decine di migliaia di atti giudiziari sin qui prodotti sul caso emerge che questa teoria è stata più volte al centro dei pensieri degli inquirenti, solo che, almeno sin qui, non sono mai emerse prove certe.
TOFFALONI, CHE ORA vive in Svizzera e lì è stato anche interrogato tramite rogatoria internazionale (si è avvalso della facoltà di non rispondere), era minorenne all’epoca dei fatti e per vagliare la sua posizione si è reso necessario il coinvolgimento del tribunale dei minori. Per Zorzi la questione è ancora più complicata: ormai settantenne, l’ex Ordine Nuovo è cittadino statunitense e vive da anni a Snohomish, nello stato di Washington, dove fa il predicatore e gestisce un centro di addestramento per dobermann, il «kennel Del Littorio». Il suo coinvolgimento era già emerso già due giorni dopo la strage, con il Corriere della Sera che in un articolo parlò di «un giovane di 21 anni, Roberto Z., che si ritiene possa fornire elementi decisivi per lo sviluppo dell’inchiesta».
ZORZI IERI non si è presentato in aula, ma i suoi legali hanno depositato una memoria difensiva in cui si sostiene che non ci siano nuovi elementi indiziari rispetto al passato e che tutte le tesi della procura siano frutto di «suggestioni».
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