Peso novanta chili, sono alto un metro e ottantaquattro, dove mi stiva, all’occasione, signor ministro? Le rivolgo questa domanda nell’illusione d’avere il diritto di sapere dove andrò a finire.

Ossia cosa mi aspetta ora che sono affidato alle sue mani. Non ho avuto una qualche contezza di lei prima d’ora, e me ne scuso. Ho imparato da alcune settimane il suo nome. Ho visto il suo volto in un notiziario televisivo. I suoi occhi non mi sono piaciuti. E nemmeno le sue labbra, mentre proferiva secco due parole: «carico residuale». Due parole che le son sembrate adeguate a dar conto di uomini e donne, e un uomo che chiama altri uomini «carichi residuali» mi obbliga con una qualche urgenza a cercar di sapere chi egli sia.

MI RISOLVO ad acquisire qualche più circostanziata notizia su di lei compitando su Google le lettere del suo nome: Matteo Piantedosi. Imparo che lei è nato a Napoli il 20 aprile del 1963. Lei sta dunque per compiere sessanta anni. Clicco su Biografia. Leggo: «Laureato in Giurisprudenza all’Università di Bologna, ha iniziato la sua carriera nell’Amministrazione civile del Ministero dell’Interno nel 1989». A ventisei anni, dunque, salvo errore. Apprendo che dal 10 ottobre 2016 è un Grande Ufficiale dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana.

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Oggi è un ministro della Repubblica Italiana e dispone che uomini e donne siano designati quali «carichi residuali» e, di conseguenza e per legge, siano sottoposti ai trattamenti che ai «carichi residuali» si riservano. Al pari dei carichi che talvolta residuano e giacciono in qualche deposito. Può capitare anche al magazziniere più accurato (siamo uomini, nel nome di Dio!) di dimenticare un carico inutile in un angolo, carico che tuttavia è buona regola smaltire. Smaltire, eliminare, rottamare forse, verbo quest’ultimo già non discaro ad altro Matteo.
CARICHI. RESIDUALI. Ricorro al dizionario “Devoto Oli”. Alla voce carico ho la conferma che lei non parla a vanvera. Non c’è discussione, a Bologna si impartiscono buoni studi. Lei sa quel che dice. Infatti leggo: «carico, nei trasporti marittimi quello costituito da materiali incoerenti; nei trasporti via terra, quello costituito da merci non confezionate in pacchi». Nei trasporti marittimi, proprio il nostro caso: materiali incoerenti. Eccoli, sono loro, le donne e gli uomini a bordo delle navi, sottratti alla crudeltà del mare e ora offerti alla (ben peggiore, parrebbe, così irrevocabile, spietata, gelida) crudeltà di un Grande Ufficiale dell’Ordine al Merito della Repubblica italiana. E della Repubblica Italiana ministro. Agli Interni. Visto che me lo trovo sottomano, il “Devoto Oli”, lo sfoglio per leggere cosa dice alla voce residuo. Dice: «La rimanenza, più o meno utilizzabile di una quantità o di un’operazione». Dunque «carichi residuali» viene a dire: materiali incoerenti più o meno utilizzabili.

E QUI TORNO ALLA MIA domanda: «dove andrò a finire, cosa mi aspetta, ora che sono affidato alle sue mani?». Le aggiungo una considerazione interrogativa. Se tratta come «carichi residuali» uomini e donne che bene possiamo definire avventizi, cioè di passaggio, in transito («rari nantes in gurgite vasto»), lei certo ha a mente questo Virgilio), mi chiedo come tratterà chi è a tempo pieno affidato alle sue cure, nelle sue mani dicevo, come lo sono io. Cosa mi accadrà una volta fossi da lei riconosciuto come materiale incoerente più o meno utilizzabile (le ripeto, novanta chili, un metro e ottantaquattro, affinché lei possa all’occorrenza misurare il mio volume interno, la mia stazza, in caso di trasporto via mare). Io, che sono a tutti gli effetti, con tanto di documenti validi che lo attestano, un carico stanziale, con fissa dimora, residente. Interno, per l’appunto. Ed a noi interni è preposto, per l’appunto, lei.

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È che proprio lei, con quella sua dichiarazione (e per di più d’esordio, quasi detta a suonar programmatica) pronunciando quelle due parole – «carichi residuali» ovvero, abbiamo visto, materiali incoerenti più o meno utilizzabili – rischia, incautamente, di rivelare cosa covi nel tepore dei fervori del governo Meloni. O, per lo meno, lei, se non proprio autorizzare, fa sì che in qualcuno possa sorgere legittimo un dubbio e nascere una inquietudine. Dubbio e, più ancora, inquietudine e preoccupazione in me, ad ascoltarla, sono nati, signor Ministro.
DAL GOVERNO MELONI, in forma ufficiale, si qualifica l’uomo un carico, cioè un peso, una quantità. Lo si riduce (lo si candida?) a salma. Non sarebbe la prima volta. Nessuna sorpresa. Ma anche nessuna superficiale o distratta sottovalutazione è consentita. Le parole sono pietre, ammonisce un titolo di Carlo Levi. E le pietre scagliate dalla mano di un ministro colpiscono senza pietà. Il significato delle sue parole, signor ministro, e gli atti da lei eseguiti, sono terribili, raccapriccianti per la disumanità che contengono e invocano. Una carica di disumanità e di morte alla quale lei, dal governo, si attiene e alla quale chiede si uniformino i suoi governati.