Peter Brook e il cinema, una passione per spogliarsi delle norme
«Moderato cantabile» (1960)
Visioni

Peter Brook e il cinema, una passione per spogliarsi delle norme

Icone La carriera cinematografica del grande regista teatrale, da «Moderato cantabile» a «Il signore delle mosche»
Pubblicato circa 2 anni faEdizione del 5 luglio 2022

Le passioni giovanili di Peter Brook sono state la fotografia e il cinema. Nel corso della sua carriera ha firmato dodici lungometraggi per lo più a partire dalle sue messinscene. Ma a vent’anni l’universo cinematografico britannico gli sembrava inaccessibile e allora si gettò a capofitto nel teatro.

RITORNA a quella prima vocazione alla fine degli anni ’50, quando la sua fortunata carriera teatrale lo aveva già portato a Parigi. Nel giro di un lustro gira due dei suoi film più conosciuti, apparentemente opposti, ultra-francese l’uno, ultra-britannico l’altro. Del 1959 è Moderato cantabile, una produzione franco-italiana con Jeanne Moreau e Jean Paul Belmondo, presentato a Cannes nel1960. Nonostante i protagonisti siano entrambi astri nascenti del nuovo cinema europeo, Moderato cantabile è accolto tiepidamente, schiacciato tra La Dolce Vita di Fellini e L’Avventura di Antonioni, vigorosamente più moderni nel tema e nella regia. Il film di Brook adatta in maniera fedele il romanzo omonimo di Marguerite Duras, che partecipa alla sceneggiatura. È un melodramma con al centro una coppia impossibile formata dalla vedova del principale industriale del paese e un ex operaio della stessa fabbrica.
Nelle pagine spoglie del romanzo di Duras molto è lasciato all’immaginazione del lettore. E quell’astrattezza giova al dramma che mettendo tra parentesi la verosimiglianza, si concentra sulle emozioni. Il film riprende solo in parte quel tocco nouveau roman, in alcuni quadri teatrali che sono le sequenze più riuscite. Dove invece il film incede nel naturalismo, nella realtà della piccola città della costa occidentale, la narrazione appare immediatamente appesantita.

IL SECONDO film di quegli anni è anche il più noto di Brook : Il signore delle mosche (1963) che può essere considerato un’esperienza di pensiero per testare una tesi di filosofia contrattualista. L’uomo è un animale per natura socievole? Oppure al contrario è insocievole? E se è così, allora come mai lo si trova sempre assoggettato a una qualche norma? Per rispondere, Brook immagina che un aereo cada in mezzo al Pacifico. E che un gruppo di scout britannici, unici superstiti, si ritrovino su un’isola deserta e montagnosa. In genere il contrattualismo classico descrive il formarsi della società a partire da individui isolati. Marx si burla di queste fantasticherie filosofiche definendole «robinsonate». Brook fa il percorso inverso. Come le uniformi da scout si logorano fino a scomparire, così le norme sociali dei giovani rampolli vanno progressivamente in brandelli, fino a riportare l’anima dei fanciulli a un presunto stato naturale.
Nonostante la grande differenza di tema, qualche germe di questo spogliarsi delle norme è già presente in Moderato cantabile. A posteriori, è fin troppo facile, ma non per questo assurdo, vedere in questo movimento la declinazione cinematografica dell’idea centrale in Brook e che in questi fa tutt’uno con il moderno: creare il vuoto.

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