Perché la moglie tradiva il marito
Habemus Corpus Come selezionare un testo fra le migliaia che arrivano? Nelle case editrici la prima scrematura si fa sulla sinossi
Habemus Corpus Come selezionare un testo fra le migliaia che arrivano? Nelle case editrici la prima scrematura si fa sulla sinossi
Brindisi prenatalizio in una piccola casa editrice. Ci sono scrittori, artisti, giornalisti, agenti, giovani editor, amici di questi e di quelli, astrologi. È inevitabile che si parli di libri. In un piccolo gruppo il discorso cade su come selezionare un testo fra le migliaia che arrivano.
Una giovane e appassionata consulente racconta che la prima scrematura si fa sulla sinossi. Se è ben scritta allora si spulcia fra le pagine. Se la storia regge allo spulcio si legge l’intero testo. Poi aggiunge che adesso la moda di lanciare giovani esordienti va scemando, mentre interessano di più i memoir dichiaratamente autobiografici nei quali i lettori possano identificarsi e lì trovare uno spunto di resistenza e rinascita.
La mia incauta mania di esprimere un parere mi porta a osservare che, va bene, la storia conta, ma conta altrettanto il modo in cui è raccontata, quindi il linguaggio.
La giovane appassionata non si scompone e aggiunge: «Sul linguaggio si può lavorare, si aggiusta, si corregge», come se fosse la cosa più facile del mondo.
Non ho le stesse certezze della mia interlocutrice. Se prendiamo, per esempio, un classico come Anna Karenina la sinossi si potrebbe riassumere in tre parole, «La moglie tradiva il marito». Di lei che tradiscono lui o viceversa è piena la letteratura, e infatti non sta solo lì la forza di quel romanzo.
In un testo, non ricordo quale, l’autore diceva di invidiare moltissimo il fratello maggiore che aveva la straordinaria capacità di riassumere una vicenda complessa in poche parole. Possedeva l’arte della sinossi fulminante. Se sul tavolo di quella volenterosa editor arrivassero riassunti così essenziali sarebbe tentata di leggere il testo o lo scarterebbe a priori perché non è abbastanza nuovo o d’impatto? L’impatto di un racconto, per parole o per immagini, sta solo nella storia o anche, e soprattutto, nel modo in cui la si narra?
A questo punto mi sono seduta su una poltrona e ho cominciato a giocare da sola immaginando le sinossi più asciutte possibili. Emma Bovary: «Voleva una vita d’artista, ma ha sposato l’uomo sbagliato». Oliver Twist: «Orfano maltrattato e sfruttato incontra un benefattore e si riscatterà». Jane Eyre: «Giovane destinata a povertà e solitudine fa perdere la testa a un ricco mal maritato». L’amica geniale: «I destini incrociati di due amiche che per sessant’anni si manipolano a vicenda». La macchia umana: «Professore pseudo bianco nasconde per una vita la sue origini black». I promessi sposi: «Le peripezie di una giovane coppia a cui un potente malvagio impedisce di sposarsi».
D’istinto io darei più credito a qualcuno che riesce a fare un riassunto in due righe piuttosto che a uno che ci impiega una pagina e sbrodola. Sono convinta che la differenza fra romanzi e film dimenticabili da altri che diventano universali è il modo in cui si racconta perché è il linguaggio a dare l’energia necessaria, a costruire empatie, a scatenare emozioni e riflessioni.
Nel linguaggio ci sono i particolari, le atmosfere, i punti di vista, le inquadrature, il montaggio, i colori, i dialoghi, le descrizioni. Il linguaggio dipende dallo sguardo di chi racconta e lo sguardo è sempre la somma di esperienze e sensibilità, per questo non credo che il linguaggio sia così manipolabile e secondario. Altrimenti dove mettiamo scrittori come Joyce, Austen, Gadda, registi come Kiarostami o Kaurismaki?
Poi, certo, possiamo costruire storie con mille complicazioni e turning point e ci piace leggere anche quelle, se ben costruire, ma che cosa si ricorda, alla fine, dopo anni? La moglie che tradisce il marito o il perché lo ha tradito? A voi la risposta.
mariangela.mianiti@gmail.com
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