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Perché la Libia è la porta d’Europa

Ue/Africa Cinque cose da sapere sull’altra sponda del Mediterraneo quando si parla di immigrazione clandestina e barconi

Pubblicato più di 9 anni faEdizione del 19 giugno 2015

In questi anni un grande numero di migranti e profughi, tra le centinaia di migliaia che hanno attraversato il Mediterraneo, hanno trovato la morte nel tentativo di raggiungere l’Europa.
A partire dagli inizi del 2015, sono state registrate più di 1800 morti. A seguito di una delle più gravi tragedie marittime nella storia del Mediterraneo, che ha visto morire più di 900 persone, il Consiglio d’Europa ha deciso di adottare un’azione congiunta per affrontare l’emergenza legata ai flussi migratori tra la Libia e l’Europa.

La gran parte della discussione pubblica sviluppatasi nelle scorse settimane ha riguardato le possibili azioni da adottare nel mediterraneo e in Europa in materia di immigrazione. Il dibattito è stato influenzato dall’impatto politico che l’incremento costante nel flusso di migranti sta avendo sulla politica interna di molti stati membri.

Tuttavia, se la reale intenzione dei governi europei è quella di affrontare il tema dell’emigrazione che proviene dalla Libia, è alla Libia che essi debbono guardare. E ciò è ancor più necessario se si vuol tentare di comprendere per quale ragione quest’ultima è divenuta la porta per l’Europa e quali siano le cause alla base del significativo incremento nel flusso di coloro che, dalla fine del 2013, tentano di raggiungere il Vecchio Continente dall’Africa, passando per l’Italia e Malta. La costruzione di una risposta realistica a questa situazione dovrebbe tenere conto di cinque elementi.

1. La Libia non è solo un paese di transito ma anche una destinazione finale. Gheddafi ha incoraggiato l’immigrazione dall’Africa sub-sahariana verso la Libia per ragioni politiche (il suo pan-africanismo) e per la costante necessità di lavoratori poco qualificati, tipica delle economie basate prevalentemente sull’esportazione di idrocarburi. Nel 2013, tra gli 1.7 e gli 1.9 milioni di migranti vivevano nel paese. Diversamente dagli altri paesi nord africani, la Libia è stata e, per certi versi, è ancora, una destinazione di arrivo accettabile per coloro che, alla partenza, non hanno ancora deciso se intraprendere o meno la traversata finale nel mediterraneo e subordinano tale decisione alla situazione che troveranno una volta giunti in Libia. Le condizioni sul terreno in Libia, tuttavia, sono seriamente peggiorate a causa della montante guerra civile degli ultimi anni, con quest’ultima che costituisce una delle cause principali dell’impennata dei flussi migratori.

2. Le reti e i traffici illegali hanno radici profonde in alcune comunità libiche. I traffici illegali e le reti di malaffare sono presenti in Libia da lungo tempo. Tali reti sono state parte del contratto sociale che ha vincolato Gheddafi e le comunità locali, particolarmente nella parte meridionale del paese e lungo la costa. Per avere assicurata la loro lealtà politica, soggetti e gruppi appartenenti a queste comunità sono stati autorizzati, per anni, a trafficare in merci ed in esseri umani. Per queste comunità, le attività illecite legate al commercio degli esseri umani rappresentano una parte rilevante dell’economia, attività a cui partecipano anche cittadini comuni al fianco di faccendieri provenienti dai paesi di origine dei migranti. Le attività illecite in Libia, piuttosto che essere caratterizzate da una struttura piramidale, si articolano sotto forma di una rete complessa di relazioni verticali ed orizzontali.

3. L’economia illegale legata ai fenomeni migratori è parte integrante della politica libica. Dopo la caduta di Gheddafi nel 2011, alcuni gruppi criminali hanno colmato parte del vuoto lasciato dalla caduta del leader libico e sono stati integrati nelle milizie che, fino a quel momento, avevano combattuto il regime (o che si attribuivano il merito di averlo fatto). Questi gruppi paramilitari spesso controllano la politica locale e, a volte, anche quella nazionale oltre a combattersi vicendevolmente. Combattere questi gruppi sperando di non venire coinvolti nella guerra civile libica equivarrebbe, per gli Europei, a mantenere l’equilibrio su un crinale sottilissimo.

4. Non debbono essere confusi trafficanti e terroristi islamici. Alcune delle milizie coinvolte in questi traffici sono di ispirazione islamica ma, ad oggi, non esiste una chiara evidenza circa il legame tra il nocciolo duro dello Stato Islamico e le bande di trafficanti libici. Al contrario, è ragionevole ritenere che i trafficanti vogliano mantenre gli islamisti a debita distanza, così da tener lontane anche le attenzione delle agenzie di sicurezza occidentali. Inoltre, un mal concepito intervento occidentale in Libia potrebbe essere usato dallo Stato Islamico per produrre un nuovo riallineamento tra i gruppi armati libici più favorevoli al loro progetto di polarizzazione.

5. I migranti rappresentano un obiettivo in Libia. Nonostante il collasso di molte strutture governative, i centri di detenzione dedicati ai migranti restano in funzione. Gran parte di questi centri sono attualmente sotto il controllo delle milizie che li usano come prigioni per migranti e profughi con questi ultimi in grado di ottenere la libertà solo a fronte del pagamento di un riscatto – nel caso riescano a sopravvivere alle condizioni a cui sono sottoposti durate la loro detenzione. All’interno ed all’esterno di questi centri, i migranti ed i profughi sono oggetto di tutte le forme possibili di violenze e di abusi. Più di recente, migranti e profughi hanno subito anche l’attacco dello Stato Islamico: le decapitazioni degli egiziani copti nel mese di febbraio e degli etiopi in maggio rappresentano solo gli esempi più evidenti. È poco probabile che chi fugge da minacce di questo calibro possa essere scoraggiato dal rischio di morire nel mediterraneo.

Alcuni leader europei continuano a vedere, nella presenza delle missioni di salvataggio nel Mediterraneo, un forte elemento di traino dei flussi migratori negando il potente elemento di spinta delle migrazioni dalla Libia rappresentato dai fattori descritti sin qui, assieme alla presenza di un anello di guerre civili nell’area mediterranea (basti vedere l’elevato numero di profughi siriani tra i migranti che arrivano in Italia) oltre alle dimensioni catastrofiche della povertà che affligge larghe parti dell’Africa. L’attenzione esclusiva su tale presunto elemento di traino, rappresentato dalle missioni di soccorso, contiene un non detto immorale: l’idea che un incremento nel numero dei migranti morti nel Mediterraneo possa funzionare da efficace deterrente scoraggiando le nuove partenze. Nonostante tutto questo però, il numero di coloro che continuano ad arrivare sulle coste di Lampedusa seguita a crescere e, in assenza di una seria missione di ricerca e salvataggio, le morti nel mediterraneo nei primi 5 mesi del 2015 sono state nove volte quelle registrate negli stessi mesi del 2014.

(traduzione di Dario Guarascio)

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