A Bologna Children’s Book (che si terrà dal 6 al 9 marzo) fra i vari temi che aleggeranno ci sarà anche quello della censura nei libri per l’infanzia (martedì 7, alle 10.30), in un simposio che vede il confronto di diversi specialisti provenienti da più paesi – si va dal Portogallo al Giappone. Ci sarà anche una relatrice della Penguin Random House e sarà interessante sentire cosa dirà a proposito delle parole scomode epurate dai testi di Roald Dahl. Al tavolo, per l’Italia, siederà Giorgia Grilli, docente, pedagogista, esperta del settore (fra i suoi saggi, Di cosa parlano i libri per bambini. La letteratura per l’infanzia come critica radicale, Donzelli, 2021). Ricorderà il caso del sindaco veneto che nel 2015 vietò nelle scuole dei piccolissimi i picture book perché alcuni mostravano famiglie «non tradizionali» e nel calderone finì anche Leo Lionni, con il suo albo Piccolo blu e piccolo giallo.

«SIAMO ALLA DISTOPIA, a Fahrenheit 451, quando bisognava impararsi a memoria i libri prima che fossero bruciati. Un Dahl sanificato non ha più la forza poetica che scaturisce proprio da quella sua forma di irriverenza. Per la questione ’ censura’ sembra ormai che non ci sia via d’uscita. Eravamo abituati alla situazione classica dove c’era un tipo di atteggiamento dei governi, chiamiamoli conservatori o tradizionalisti, che censuravano tutto ciò che non risultava uguale alla norma data. Negli ultimi tempi, però, ne è venuta fuori un’altra di segno opposto ma con lo stesso significato che riguarda le possibili offese alle minoranze. Tornando a Dahl: se è vero che la letteratura da un lato non può essere uno strumento nelle mani del potere, come succede nelle dittature, dall’altro non può neanche essere la Carta dei diritti umani. Un conto è quello che si chiede alla legislazione o alla società (il rispetto inclusivo), un altro ciò che afferisce alla letteratura: non ha questo obbligo né funzione. Se andiamo per questa strada con i sensitivity reader non avremo mai più un capolavoro. I classici sono tali perché se lo sono meritato, hanno attraversato le epoche e sono diventati indiscutibili. Nel caso Dahl c’è poi una certa violenza: l’autore non può più dire niente, manomettono le sue  parole che ha firmato in un altro modo. Oltre allo scrittore stesso, che è il primo a esserne ferito, tutti i suoi estimatori – che lo hanno amato anche per quell’audacia di dire ciò che non si può – ne escono offesissimi. Non sono categorie da salvaguardare anche queste?».

NON SOLO LE STORIE narrate dall’autore del GGG, ma anche le fiabe hanno sempre vissuto pericolosamente su quel bilico fra ciò che è giusto e ciò che è sconveniente: difficilmente la hanno fatta franca rispetto alle manie educative e di ammaestramento infantile. «Una fiaba è tale perché si tramanda nei secoli, arriva dall’inizio dei tempi, parla a qualcosa di profondo in noi. Non possiamo guardare alla fiaba soltanto con una lente sociologica. Quando appare il ’femminile’, abbiamo a che fare con un archetipo. Non si parla di una sguattera in termini sociologici, ma dell’ultimo che riesce a emergere. I bambini colgono il senso profondo, noi adulti ci fermiamo alla superficie».
«Toccare le parole di un grande autore significa cambiare l’essenza dei suoi testi. Censurare le parole di Roald Dahl significa restituire un non Roald Dahl. È un atto pericoloso, irrispettoso e altamente allarmante. Tutto il sapore delle sue parole sta nella loro irriverenza», commenta Beatrice Alemagna, autrice, illustratrice e artista che sarà a Bologna in occasione della Fiera con la personale Le cose preziose, a cura di Hamelin: fino al 26 aprile le sue bellissime opere (molte inedite), circa duecento, saranno allestite a Palazzo Paltroni, nell’ambito del festival diffuso Boom! Crescere nei libri. La mostra sarà accompagnata da Alfabeto Alemagna, un saggio monografico edito da Topipittori, diviso in 22 voci – dalla A di Animali alla I di Identità passando per la T di Teatro.