Per la condanna di Markiv, minacce all’attivista Oxana Chelisheva
Ucraina La collaboratrice di Anna Politovskaya denuncia la campagna politica contro la sentenza di primo grado per gli omicidi del fotoreporter Andrea Rocchelli e dell'attivista russo Andrey Mironov
Ucraina La collaboratrice di Anna Politovskaya denuncia la campagna politica contro la sentenza di primo grado per gli omicidi del fotoreporter Andrea Rocchelli e dell'attivista russo Andrey Mironov
È in atto una campagna per svilire dal punto di vista giuridico e sminuire dal punto di vista politico (ovvero celare le pesanti responsabilità del governo ucraino nella vicenda) la sentenza di primo grado per gli omicidi del fotoreporter Andrea Rocchelli – per il quale è stato condannato a 24 anni di carcere dalla Corte di Pavia Andrej Markiv legionario di estrema destra con passaporto italiano e ufficiale delle truppe di Kiev – e per quello dell’attivista russo dei diritti umani Andrey Mironov; commessi entrambi nell’aprile 2014, nella fase più calda della guerra nel Donbass.
A denunciarlo è Oxana Chelisheva, attivista dei diritti umani già amica e collaboratrice di Anna Politovskaya che in questi anni ha seguito dappresso i casi di “Andy”, come era chiamato Rocchelli dagli amici, e di Mironov. Dopo la sentenza di questa estate della corte di Pavia, afferma Chelisheva, sono apparsi decine di articoli sulla stampa ucraina con l’obbiettivo evidente di mettere in discussione la condanna senza corroborare tali posizioni con alcuna prova, ma semplicemente cercando di mettere in discussione la buonafede della giuria e baluginando di un’oscura macchinazione per mettere in cattiva luce l’Ucraina.
Il 14 ottobre, giorno di fondazione dell’esercito nazionale del neofascista Bandera – collaborazionista con i nazisti nella Seconda guerra mondiale – divenuto da qualche anno festa nazionale, a Kiev il corteo è stato aperto da una gigantografia di Markiv, presentato dalla destra ucraina come «vittima di una congiura».
L’apice di questa campagna è stata la pubblicazione sul sito ufficiale del Consiglio atlantico di un lungo pezzo, senza firma, contro la sentenza di un paese membro fondatore della Nato, definita il «caso più scandaloso di questa estate» e che «costituisce un precedente pericoloso» utilizzato dalla propaganda russa teso a sostenere che «l’esercito ucraino commetta crimini».
Tesi balzana viste le evidenze. L’Onu ha denunciato da tempo il carattere criminale dell’attività di gruppi inquadrati nell’esercito ucraino come il battaglione Azov e altre realtà neonaziste dedite nel Donbass al massacro di civili e violenze sulle donne.
E sei giorni fa 40 deputati americani in una interrogazione al Pentagono hanno chiesto allarmati perché i gruppi dell’estrema destra ucraina non siano stati inseriti nelle liste delle organizzazioni terroristiche. E non sembra produrre scandalo in Ucraina la presenza a una iniziativa di qualche settimana fa della famigerata formazione S-14 del premier ucraino Oleksij Honcaruk, che ha esposto in bella vista una bandiera con la svastica.
Il Consiglio atlantico sostiene che all’origine della campagna di disinformazione «filo-russa» non ci sarebbe altro che Oxana Chelisheva, la quale avrebbe abbandonato le sue vecchie posizioni critiche del regime russo per diventare un megafono della politica di Putin.
Peccato che Oxana non abbia più da anni il passaporto russo, sia diventata cittadina finlandese e sia una delle attiviste più rispettate per il suo equilibrio e il suo impegno nel difendere i più deboli e i civili in ogni conflitto. Recentemente proprio per la campagna orchestrata contro di lei dalla stampa ucraina e dal Consiglio atlantico, le sono iniziate a pervenire insistenti minacce di morte.
«Io non sono così importante – afferma Oxana – penso piuttosto che vogliano intimidire e mettere sulla difensiva le autorità e la magistratura italiane in vista dell’appello» al fine di ridurre la condanna. Del resto i militanti nazionalisti residenti in Italia e il governo di Kiev avevano già cercato di giocare un ruolo provocatorio durante il primo processo, tentando in ogni modo di non rendere sereno il lavoro dei magistrati e dei giudici.
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