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Per i cosmologi l’universo è troppo dark

Per i cosmologi l’universo è troppo darkThe Bullet Cluster dal sito dell'European Space Agency

Materia oscura Materia e energia «oscure» rappresentano rispettivamente il 26% e il 68% dell’universo. Anche se del mondo abbiamo esplorato appena il 5%

Pubblicato 8 mesi faEdizione del 16 febbraio 2024

A volte la fisica dà l’impressione di aver scoperto tutto quello che c’era da scoprire. Ma i fisici non amano sbandierare i loro successi, perché l’opinione pubblica potrebbe avere il dubbio che il compito degli scienziati sia ormai esaurito e che i miliardi di euro spesi in telescopi spaziali o acceleratori di particelle siano sprecati. Così, si affrettano a ricordare che del mondo abbiamo esplorato appena il 5% perché materia e energia «oscure», su cui non sappiamo nulla e che non c’entrano con i «buchi neri», rappresentano rispettivamente il 26% e il 68% dell’universo. Una misura così precisa può essere fuorviante: se dell’universo oscuro non abbiamo idea, come abbiamo fatto a pesarlo con tanta accuratezza?

In realtà, quelle percentuali derivano da un’ipotesi in una certa misura arbitraria, anche se suffragata da diversi dati. Prendendo per buone le attuali leggi della fisica, serve esattamente quella quantità di materia oscura per tenere unite le galassie in rotazione e aggregare i giganteschi «filamenti» galattici che fanno assomigliare il nostro universo a una ragnatela. La percentuale di energia oscura, dal canto suo, rappresenta la forza di «anti-gravità» che accelera l’espansione dell’universo che altrimenti dovrebbe prima o poi collassare su se stesso. Queste componenti oscure sono dunque toppe necessarie a salvare le leggi della fisica che, negli esperimenti di laboratorio, continuano a funzionare benissimo. Non è la prima volta che ragioniamo in questo modo: nell’800 il pianeta Nettuno fu scoperto osservando anomalie del movimento di Urano inspiegabili secondo le leggi di Newton. Invece di cambiare le leggi, l’astronomo Urbain Le Verrier ipotizzò che l’orbita di Urano fosse disturbata da un altro pianeta. In una notte di settembre nel 1846 un telescopio fu puntato nella direzione da lui prevista e finalmente la debole luce del nuovo pianeta apparve.

Con la materia e l’energia oscura il «momento Le Verrier» non si è ancora verificato, ma tanti pensano (o sperano) che sia solo questione di tempo. Nulla tuttavia impedisce che un giorno cambieremo prospettiva: invece di tenerci le leggi e immaginare un universo invisibile, potremmo prendere per buono ciò che osserviamo e cercare nuove leggi della fisica. Succederebbe se materia e energia oscura non bastassero più a mettere d’accordo dati e teoria.

Il problema è che anche sui dati non siamo tutti d’accordo. L’espansione dell’universo, ad esempio, a che velocità avviene? Gli astronomi conoscono diversi metodi per misurare questo tasso di espansione, detto «costante di Hubble». Se lo si misura con le supernove locali o con la radiazione cosmica di fondo il risultato cambia anche del 10%. Questa discrepanza è chiamata «tensione di Hubble».

Uno studio sul Journal of Cosmology and Astroparticle Physics guidato dal cosmologo italiano Leonardo Giani dell’università del Queensland ora aggrava ulteriormente la situazione. I ricercatori hanno studiato l’effetto frenante di Laniakea, il super ammasso di galassie e materia oscura che contiene anche la nostra Via Lattea. Come una rete che intrappola la nostra regione dell’universo, la materia oscura di Laniakea dovrebbe rallentarne l’espansione alimentata dall’energia oscura. Gli autori speravano che l’effetto locale di Laniakea spiegasse il conflitto tra le varie misure e che, una volta ancora, la giusta miscela di materia e energia oscura mettesse a posto le cose. Invece no: senza Laniakea i valori della costante sarebbero ancora più contraddittori. «Il nostro studio – dice Giani – peggiora leggermente la tensione di Hubble». Ma per il futuro della fisica è una buona notizia.

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