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Pelé, un addio lungo 24 ore all’«inventore della brasilianità»

Pelé, un addio lungo 24 ore all’«inventore della brasilianità»

Brasile Veglia funebre nella camera ardente allestita nello stadio Urbano Caldeira del “suo” Santos

Pubblicato quasi 2 anni faEdizione del 31 dicembre 2022

Tutto il Brasile piange il suo re. Ed è un omaggio regale quello che gli verrà tributato. Per lui, il calciatore del secolo, il governo ha decretato tre giorni di lutto nazionale. Per lui il Cristo Redentore di Rio de Janeiro è stato illuminato con i colori della bandiera brasiliana, e così il Maracaná, lo stadio più famoso del mondo.

L’ADDIO DEL PAESE a Pelé durerà 24 ore, dalle 10 del 2 gennaio, con la veglia funebre nella camera ardente allestita nello stadio Urbano Caldeira del “suo” Santos, a Vila Belmiro, fino alle 10 del giorno seguente, quando il corteo funebre si snoderà per le strade della città fino al luogo scelto dallo stesso Pelé per il riposo eterno: il Memorial Necrópole Ecumenica, il cimitero più alto al mondo, proprio nei pressi dello stadio in cui è diventato leggenda. Sulle reti sociali, calciatori, politici, artisti, giornalisti, intellettuali, tifosi di tutto il paese (e di tutto il mondo) lo hanno ricordato, pianto, celebrato, esaltato. «Ho avuto il privilegio che i brasiliani più giovani non hanno avuto: ho visto Pelé giocare, dal vivo», ha scritto Lula su Twitter, per poi correggersi: «No, non l’ho visto giocare. Ho visto Pelé dare spettacolo. Perché quando prendeva palla faceva sempre qualcosa di speciale, che spesso finiva in gol». E ha concluso: «Pochi brasiliani hanno portato il nome del nostro paese così in alto come lui».
«Prima di Pelé il calcio era solo uno sport. Pelé ha cambiato tutto. Ha trasformato il calcio in arte, in intrattenimento. Ha dato voce ai poveri, ai neri soprattutto», ha scritto Neymar. E non lo pensa solo lui: Juarez Tadeu de Paula Xavier, docente della Unesp e militante storico del movimento nero, definisce «straordinario» il lascito di Pelé per la popolazione nera brasiliana, avendo smontato con il suo talento «ogni pregiudizio e stigma» nei confronti dei neri.

E COME un «inventore della brasilianità» lo descrive lo storico Luiz Antonio Simas, evidenziando come un paese con quattro secoli di schiavitù alle spalle abbia visto un nero «rompere la bolla dell’esclusione sociale fino a diventare il brasiliano più conosciuto di tutti i tempi».
È stato tutto questo, Pelé. E ha fatto tutto questo, cambiando in soli otto anni, dal maracanazo del ‘50 (la sconfitta in finale con l’Uruguay) al trionfo del ‘58 in Svezia, lo stato d’animo di un paese, liberandolo da ogni complesso di inferiorità. Lo ha fatto, però, quasi suo malgrado, perché una vera battaglia contro il razzismo Pelé non l’ha mai combattuta. È celebre la sua critica all’atteggiamento del portiere del Santos Aranha, che nel 2014 si era ribellato ai cori e agli insulti razzisti ricevuti dai tifosi del Gremio. «Si è fatto troppo rumore intorno a questo episodio, anche perché si tratta pur sempre di frasi dette nel calore del tifo», aveva commentato.
Ma a scatenare le maggiori polemiche è stato il suo silenzio nei confronti del regime militare, che, come poi sarebbe avvenuto in Argentina, si serviva del calcio a fini di propaganda. E a cui certo aveva fatto molto comodo l’abbraccio di O Rei al dittatore Emílio Garrastazu Médici dopo la vittoria ai mondiali del 1970. Né era stato meno grave quando, in piena dittatura, l’idolo di un intero paese aveva detto che il suo popolo non sapeva votare.

«Io amo Pelé, ma non posso non criticarlo», ha dichiarato in passato Paulo Cézar Lima, suo compagno di squadra nel ’70, secondo cui sarebbe bastata una sua dichiarazione a fare la differenza: «Pensavo che si comportasse come un nero sottomesso pronto ad accettare qualsiasi cosa».
Non è stata l’unica critica che gli è stata rivolta da un calciatore. Nel 2001, infatti, Sócrates gli aveva dato del traditore, criticandolo per aver abbracciato l’allora presidente della Confederación Brasileña de Fútbol, Ricardo Teixeira, precedentemente accusato di corruzione.

NON È VERO, invece, che Pelé, che è stato anche ministro dello Sport del neoliberista Fernando Henrique Cardoso, abbia dichiarato il suo appoggio a Bolsonaro alle ultime elezioni. Tuttavia, nel 2020, si era fatto fotografare con una storica maglia del Santos sulla quale aveva scritto una dedica al presidente xenofobo e razzista. Era il 20 novembre, Giornata nazionale della coscienza nera.

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