«Una figuraccia». È con ogni probabilità la prima volta che Matteo Renzi e Giuseppe Conte si trovano ad avere la stessa identica opinione. Il merito, se così si può dire, è di Giorgia Meloni e della sua quantomeno incauta telefonata con il sedicente leader africano, in realtà uno scherzo organizzato da due comici russi. Ci sono sfumature diverse, certo, per il leader di Italia Viva quella della premier è una «figuraccia per l’Italia», mentre il pentastellato si spinge ancora un po’ più in là e parla di «figuraccia planetaria», ma il senso è lo stesso.

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Scherzetto russo a palazzo Chigi. La premier abbocca

E certo Conte avrà avuto il suo bel sorridere dopo che, appena pochi giorni fa, alla Camera Meloni aveva ricordato la sua rincorsa di Angela Merkel in un bar – come da retroscena filtrato nel 2019 – e aveva aggiunto che «non mi vedrete mai rappresentare l’Italia così, costi quel che costi». Evidentemente, però, la premier non aveva considerato il potere di una telefonata. Dal Pd la segretaria Elly Schlein guarda più alla sostanza che all’effettiva comicità della faccenda è definisce l’accaduto come «sconcertante». «Non ha funzionato l’attività di filtro e verifica preliminare alla telefonata ponendo in serio imbarazzo il nostro Paese – dice -. Non basta la nota di spiegazione di Palazzo Chigi, è necessario che il governo rassicuri parlamento e paese».

Nicola Fratoianni commenta invece citando il classico Tototruffa 62 e la famosa scena della telefonata dell’ambasciatore dell’inesistente Catonga: «E pensare che erano quelli del pronti – scrive il segretario di SI su X -. In realtà si dimostrano impreparati, inadeguati e pure arroganti. Il Paese sarebbe sicuramente in mani migliori se ci fossero Totó, Peppino e Nino Taranto al loro posto». Lo stesso identico riferimento cinematografico lo usa anche Enzo Amendola del Pd, del resto le somiglianze tra la scena reale della premier e quella del film diretto da Camillo Mastrocinque sono troppe per poter passare inosservate. Chi in qualche modo non si sente di criticare la premier è Carlo Calenda, che sì parla di «grave errore dell’ufficio del consigliere dipolmatico di Palazzo Chigi» ma, a nome di Azione, aggiunge che «non ci pare che tale errore si possa addebitare a Meloni. Perciò che concerne il contenuto della telefonata, le conversazioni riservate e le posizioni pubbliche di un capo di governo sono cose da sempre distinte. Siamo convinti che la posizione del governo italiano sull’Ucraina rimarrà la stessa. Strumentalizzare a fini di polemica politica quanto avvenuto rappresenta un errore ed è lesivo dell’immagine dell’Italia».

Va da sé, infine, che da destra non arrivino che difese a spada tratta della povera Meloni vittima dei burloni russi. E così abbiamo un coro di parlamentari che si sperticano a evidenziare l’estrema coerenza della leader, la sua grande credibilità internazionale, la capacità di tenere il punto anche in situazioni informali. Poi c’è l’onorevole Giangiacomo Calovini che esagera, e ai complimenti aggiunge che, se non altro, la premier ha dimostrato di avere una «eccellente padronanza della lingua inglese». More realist than the king.