Pd e Fi scatenati all’unisono. Renzi: deriva venezuelana
Le opposizioni Martina invita tutti in piazza domani a Roma, ma Emiliano: dovevamo farlo noi questo Def. Sinistra a più voci Fassina: «Ora una partita inedita». Fratoianni: «Non ci sono investimenti»
Le opposizioni Martina invita tutti in piazza domani a Roma, ma Emiliano: dovevamo farlo noi questo Def. Sinistra a più voci Fassina: «Ora una partita inedita». Fratoianni: «Non ci sono investimenti»
«Nei prossimi 12-18 mesi l’economia si bloccherà. I posti di lavoro diminuiranno dopo anni di segno più. Gli investitori stranieri ridurranno gli investimenti». A preconizzare un fosco futuro di apocalisse, conseguenza del Def, è l’ex segretario Pd Matteo Renzi. «Il problema, attacca su facebook, non è il deficit» ammette – e deve farlo, visto che anche lui a suo tempo aveva proposto di arrivare al 2,9 – ma «la deriva venezuelana che stiamo rischiando».
CONTRO LA MANOVRA, guardando con eccitazione alla reazione delle borse, il Pd ritrova una qualche compattezza. Utile se reggerà almeno per un giorno, il tempo di una foto tutti insieme in piazza, domani pomeriggio a Roma. Fin qui si trattava di una piazza genericamente antigovernativa, quella dell’«Italia che non ha paura», che lasciava freddi un po’ tutti, dai renziani alla sinistra. E invece ora, grazie allo spread, piazza del Popolo potrà riempirsi. Il segretario Martina fa quello che può per suonare la grancassa: «Quello del governo di Lega-M5s non è cambiamento. È ingiustizia. Che si abbatterà prima di tutto sui giovani». È il concetto su cui batte anche il candidato Nicola Zingaretti: «Niente di nuovo, siamo alle solite. Nuovi debiti che dovranno pagare i giovani, non c’è nulla su lavoro, sviluppo, università». L’ex presidente Paolo Gentiloni già vede, forse pregusta, il suo partito chiamato in causa in un futuro nuovo governo da lacrime e sangue: «L’esperienza degli ultimi dieci anni dimostra che accumulare debiti scarica i problemi su chi viene dopo: a noi del centrosinistra è capitato sovente di farci carico delle responsabilità di chi è venuto prima, pensate ai governi Ciampi e Prodi».
L’EX MINISTRO CALENDA accusa Confindustria essere troppo tenera con il governo. Ce l’ha con il presidente Boccia che «finge di non conoscere i contenuti del Def pur di non prendere posizione sul governo». In effetti un leader degli industriali che giudica «eccessivo» il nervosismo dei mercati è un po’ un inedito.
COME È INEDITO PERÒ il fatto che il ruolo dei falchi e dei rigoristi se lo prendano le opposizioni. Pd e Forza Italia attaccano praticamente all’unisono. Contro l’hashtag grillino #manovradelpopolo, dem e azzurri coniano due hashtag praticamente gemelli: #pagailpopolo e #manovrailpopolo. «È una manovra che impoverisce il Nord senza aiutare il Sud», attacca Antonio Tajani, presidente forzista dell’europarlamento, «Frena la crescita e aggrava il debito, aumenta il costo di mutui e prestiti per famiglie e imprese». Renato Brunetta quasi esplode: «Alzare il deficit strutturale di quasi un punto è già di per sé un azzardo», «ma farlo senza neppure usarlo per mettere in campo una riduzione shock delle tasse sul ceto medio è un vero tradimento politico dell’elettorato di centrodestra». Il senatore Lucio Malan evoca il ventennio: «Per la prima volta dopo il tragico 10 giugno 1940 un governo torna su un balcone romano con un annuncio trionfale. Questa volta per dichiarare guerra alla tenuta economica dell’Italia».
MA I DECIBEL DI FORZA ITALIA non coprono un’evidenza: che la Lega resta l’alleato delle regionali e che, finiti gli strillacci, il «tradimento» non sarà giudicato poi così grave da rompere il matrimonio.
FRA I DEM C’È UNA VOCE fuori dal coro e d è il presidente della Puglia Michele Emiliano. Che attacca i suoi: «Il Pd deve tornare a essere un partito di popolo. C’è da chiedersi com’è possibile che nel passato la sinistra ufficiale non sia riuscita a fare manovre del genere. Forse ha pensato che la manovra sugli 80 euro fosse sufficiente».
PIÙ A SINISTRA è Stefano Fassina, di Sinistra Italiana-Leu, a aprire una linea di credito verso i gialloverdi: «L’obiettivo di deficit al 2,4% del Pil è necessario e coraggioso», scrive sull’Huffington post, «Si apre una inedita partita. Finalmente, ritorna il primato della politica sull’economia, condizione necessaria, ahimè non sufficiente dati i rapporti di forza interni e esterni, al primato della sovranità costituzionale. La cosiddetta sinistra da che parte sta?». Gli risponde indirettamente Nicola Fratoianni, segretario di Si, e cioè del suo partito:
I consigli di mema
Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento