«Parole Armate», perché la resistenza delle donne non è finita nel 1945
SCAFFALE Il volume della storica Valeria P. Babini per La Tartaruga
SCAFFALE Il volume della storica Valeria P. Babini per La Tartaruga
«Mai più tornerà un tempo così pieno per noi» diceva la scrittrice Paola Masino a Maria Bellonci l’indomani della fine della seconda guerra mondiale. Masino non provava certo nostalgia per gli anni durissimi di guerra, nazifascismo e resistenza. Constata invece che la lotta di liberazione aveva reso le donne consapevoli di quanto erano capaci di fare mentre mariti, padri, fratelli e figli erano al fronte, in clandestinità, prigionieri. «Nelle borse manifesti, nel ventre i figli. Vedemmo la serietà e la verità degli scopi che ritroverebbe una società retta dalle donne», scrive Masino.
QUESTO STRAORDINARIO e avvincente percorso è raccontato dalla storica Valeria P. Babini nel saggio Parole Armate. Le grandi scrittrici del Novecento italiano tra resistenza ed emancipazione (La Tartaruga, pp. 280, euro 18). Con un sapiente lavoro di montaggio e una massiccia ricerca d’archivio, Babini conduce il lettore in una continua scoperta di voci ingiustamente dimenticate, svela una vivacità di pensiero e di linguaggio straordinari, insieme a un anticonformismo ante litteram e ancora attuale.
LE DONNE, dunque, combatterono in tanti modi, anche con le parole che usarono come armi. La comunicazione fu la loro trincea. I luoghi di lotta furono libri, articoli, radio. È così che, dal ’40 al’43, troviamo su Radio Cairo Fausta Cialente che si rivolge agli italiani redigendo notiziari e commenti politici. Alba de Céspedes diventa la voce femminile di «Italia combatte», programma radiofonico della Resistenza italiana; ad Anna Garofalo gli alleati affidano dal settembre ’44 la trasmissione Parole di una donna.
E dopo? Si apre un periodo di nuove lotte spinte dalla consapevolezza che non sarebbe più stato possibile rientrare nei ruoli di prima. Le donne erano cambiate. La guerra e la Resistenza le avevano cambiate, nulla però sarà loro regalato.
ACCANTO a Natalia Ginzburg, Anna Banti, Alba de Céspedes, Maria Bellonci, Sibilla Aleramo, riscopriamo la vivacità intellettuale di Paola Masino, compagna di Massimo Bontempelli, che anticipò la critica ai ruoli di madre e moglie con Nascita e morte della massaia. In L’Agnese va a morire Renata Viganò mette in primo piano la partecipazione delle donne alla guerra partigiana, ma anche la loro capacità di narrare la guerra e la violenza necessaria per combatterla. Simpatizziamo con le sette signore della giuria del premio letterario Le Due Cicogne che avevano messo in trepidazione i soli due uomini tollerati nella commissione perché volevano «Giudicare con criteri femminili». E infatti nel ’47 assegnano la vittoria a È stato così della Ginzburg, romanzo che comincia con un uxoricidio rivendicato con una frase durissima, «Gli ho sparato negli occhi». La protagonista uccide non perché sia infelice o tradita, ma perché, come a tante altre, la guerra ha insegnato a non tacere, ma anche a uccidere. Incapaci di rientrare nei panni del prima, altre protagoniste di romanzi di quel periodo sopprimono l’uomo che le ha umiliate o non riconosce il loro cambiamento. Ci sono Giuditta di Artemisia e Amina de Il coraggio delle donne scritti da Anna Banti, Alessandra che, in Dalla parte di lei di de Céspedes, spara nelle spalle del suo grande amore Francesco perché, come scrive Babini: «Anziché la soluzione del suicidio, tradizionalmente quanto realisticamente rappresentato in letteratura, sceglie di farsi assassina. Gesto con un alto valore simbolico che indica la necessità di una liberazione ancora da compiersi e, questa volta, dalla parte di lei».
LIBERAZIONE POLITICA, liberazione anche da quel sogno d’amore, celebrato da fotoromanzi e certi libri ameni, che voleva le donne in una condizione di inferiorità morale. Le scrittrici che hanno combattuto con le parole sentono l’urgenza di uscire da quel «pozzo» dove, per la Ginzburg, le donne cadono per mancanza di autostima, vizio pericoloso perché finisce per escluderle dalla storia. Negli anni del dopoguerra le donne omicide saranno protagoniste anche di celebri fatti di cronaca. Rina Fort, Leonarda Cianciulli, Salvatrice Guastella, Lidia Cirillo uccidono per vendicare una disillusione o l’onore. Delitti passionali nella realtà, omicidi simbolici nella letteratura. In mezzo, la lotta strenua per ottenere il diritto di voto e l’ingresso delle donne in magistratura, che avverrà solo nel 1963. Come ha detto Alba de Céspedes, «Sapevo ormai che un uomo può tremare e una donna restare impavida durante un bombardamento di artiglieria. Soltanto una donna poteva capire in quel tempo quanto fosse irritante sentirsi sotto tutela». Le conquiste non sono state facili e altre ne restano. Le donne che si armarono di parole ci dicono che molto possiamo, e che tutto è possibile.
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