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Pampurino, il «cubista» cremonese

Pampurino, il «cubista» cremoneseLe ante d’organo con l’"Annunciazione" dipinte nel 1508 da Alessandro Pampurino, Cremona, San Michele

storici dell'arte, folgorazioni: Mina Gregori Nel 1985 la storica dell'arte, oggi sulla soglia dei cento anni, divinò il nome dell’autore di due meravigliose ante d’organo in San Michele a Cremona: l’oscuro Alessandro Pampurino. Un caso esemplare di cultura attribuzionistica longhiana

Pubblicato circa un anno faEdizione del 8 ottobre 2023
Mina Gregori in una foto storica di Leonardo Maniscalchi

Pseudo Bramantino, Johannes Hispanus, Alessandro Pampurino… chi erano costoro? La pittura del Rinascimento del Nord Italia a cavallo tra Quattro e Cinquecento abbonda di Carneadi, che però ci hanno lasciato capolavori rimasti a lungo in attesa del giusto inquadramento. Banco di prova dei più grandi conoscitori, a partire già dall’Ottocento, queste personalità misteriose hanno avuto nel corso del tempo nomi di comodo (come lo Pseudo Bramantino, appunto); specularmente, altri artisti emergevano dai documenti senza che si potesse riferire loro un corpus significativo (ed è il caso del Pampurino).
Pian piano, però, qualche porzione dell’infinito mosaico dei nomi e delle opere si ricompone. E così nel 1985 due meravigliose ante d’organo già credute dello Pseudo Bramantino venivano assegnate al Pampurino grazie all’acume di un’eccezionale conoscitrice oggi ultima – o quasi – rappresentante della scuola di Longhi, Mina Gregori. Alla vigilia dei suoi cento anni, la si vuole qui festeggiare ripercorrendo le tappe di una delle sue più clamorose scoperte.
Nota forse prima di tutto come grande specialista di Caravaggio (sua l’attribuzione della Sant’Orsola di Napoli, poi rivelatasi documentata, e del molto discusso Cavadenti Pitti), indissolubilmente legata alla riscoperta del Seicento fiorentino (basti pensare alla grandiosa mostra del 1986), profonda conoscitrice del Trecento lombardo (Giovanni da Milano), Gregori, forse con gusto del paradosso e non senza una punta di civetteria, si è a volte presentata come una settecentista tout court; come a dire, padrona di ogni secolo della pittura italiana. I suoi esordi, e non poteva essere diversamente per colei che è l’altra grande Tigre di Cremona (sempre Mina, si noti), furono segnati dallo studio della ‘sua’ scuola di pittura.
E nel 1955, a trent’anni, in un denso articolo apparso su «Paragone» – la rivista fondata dal suo maestro e di cui tiene le redini dal 1985 –, attirava l’attenzione su quelle ante d’organo in San Michele a Cremona che, riferite ad Altobello Melone sulla scorta delle guide del Settecento, erano state acutamente associate da Cavalcaselle agli affreschi di un soffitto poi passato al Victoria and Albert Museum di Londra; assegnate quindi a Boccaccio Boccaccino, e infine accostate da Alfredo Puerari a una Pietà nella stessa chiesa, Gregori proponeva per quelle tempere su tela una datazione al 1512-’13, ne intuiva il rapporto con lo Pseudo Bramantino, e allo stesso tempo suggeriva di riferire la Pietà a quell’oscuro Pampurino che fino ad allora si conosceva sostanzialmente solo attraverso documenti e per la firma su un ciclo di affreschi nella chiesa di Scandolara Ravara, nella campagna cremonese.
Nel 1970, in una illuminante nota del suo Casalesi del Cinquecento, Giovanni Romano riuniva definitivamente la Pietà alle ante d’organo (e a qualche altro pezzo) assegnandole a un anticipatore dello Pseudo Bramantino. Nel 1984 Marco Tanzi avrebbe fatto un passo avanti in quella direzione, individuando in quel gruppo un momento giovanile della carriera del maestro. Ma contemporaneamente, lavorando alla memorabile mostra cremonese del 1985 dedicata ai Campi, Gregori presentava al grande pubblico forse la più folgorante (e rischiosa) tra le sue ipotesi critiche: quelle opere, nelle quali lei per prima aveva ravvisato affinità con lo Pseudo Bramantino, non erano però di quel pittore ma dovevano essere tutte della mano del Pampurino. Le ante venivano da lei anticipate al primo decennio del secolo, e più precisamente subito dopo il 1507, anno di esecuzione di un’importante Annunciazione affrescata da Boccaccino nell’arco trionfale della Cattedrale sempre di Cremona. Il catalogo di quella mostra si apriva così con l’opera di quella sorta di nuovo caposcuola, che veniva ad affiancarsi al più noto Boccaccino.
Le argomentazioni di Gregori, che accompagnò i giovani studiosi della Fondazione Longhi – tra i quali chi scrive – in un’intera giornata di visita, erano di straordinaria pregnanza, e sono per me un ricordo prezioso. Si trattò di un piccolo terremoto negli studi sulla pittura cremonese, e chissà quante letture e proposte alternative si sarebbero succedute negli studi se i documenti di committenza di quelle ante non fossero stati pubblicati in uno studio sull’organistica cremonese apparso di lì a poco a firma di Oscar Mischiati. Come con la Sant’Orsola di Caravaggio, Gregori coronava ancora una volta il sogno di tutti i conoscitori: veder confermata dai documenti una sua attribuzione. Ma nonostante la ben diversa caratura di Pampurino e Caravaggio, paradossalmente, questo era un colpo ben più clamoroso. Sì, perché indovinare la mano di quel pittore dalla fisionomia così incerta in un capolavoro simile era impresa in cui pochi potevano riuscire; e veniva pure – per culmine di soddisfazione – confermata ad annum – 1508 – la datazione proposta da Gregori solo con l’occhio e con l’intuito: a volte la comprensione dello stile può essere precisa come la lancetta dei secondi.
Nel 1990, quindi, in un volume sulla storia della pittura cremonese dalle origini al Settecento, Gregori giustamente cantava vittoria e presentava Pampurino come un nuovo protagonista di quella scuola. E l’anno dopo illustrava il metodo con cui era arrivata a quell’acquisizione: «A biglie ferme questa vicenda critica, cominciata da un’acuta individuazione della singolarità prospettica e strutturale dei dipinti cremonesi, ha finito per manifestarsi come una tipica operazione a tavolino. Al di là delle verifiche consuete del conoscitore, le quattro ante d’organo presentano così numerosi riferimenti alla cultura figurativa locale, che non poterono essere state dipinte che da un cremonese. In particolare interessa indicare quegli aspetti marginali e indiziari che sono collegati intimamente alla pittura locale. I bordi a nastri intrecciati… le candelabre delle lesene laterali… anche le targhe sottostanti…». Quello era stato senz’altro il percorso di Gregori, che fin dal 1955 aveva scritto che «l’Annunciazione… è presa dal sotto in su e il punto di vista spostato produce nello squadro bloccato della veste della Vergine un pezzo di ‘cubismo’». La studiosa, cioè, longhianamente, era partita dal riconoscimento di un nocciolo figurativo culturale, in cui si addensavano reminiscenze bramantesche, per passare solo dopo all’individuazione di quei particolari quasi morelliani che mai guidarono il suo occhio (o quello degli altri veri grandi conoscitori, da Federico Zeri a Carlo Volpe fino a Luciano Bellosi).
Quelle biglie però per Tanzi non erano ancora ferme, perché allora era forse presto per un bilancio finale di tutta la vicenda. Se la questione attributiva era ovviamente chiusa, poteva non esserlo la valutazione complessiva del peso di Pampurino e in particolare di quelle ante d’organo nella storia della pittura cremonese. Nel 1997 lo studioso ha così proposto di ridimensionare l’importanza del pittore, e della stessa Annunciazione, dipinta in «un momento non più di avanguardia», quale sarebbe stato magari il 1499, o un anno giù di lì, ma solo nel 1507-’08, «a ruota» cioè del prototipo boccaccinesco. Eppure quando era stata giudicata un’opera del geniale Pseudo Bramantino (di cui oggi sappiamo il nome: Pedro Fernández), quell’Annunciazione era stata datata sempre al primo decennio del secolo, entro il 1505-’06. Gregori era stata criticata per essersi in qualche misura innamorata della sua scoperta, averla ingigantita, facendo del comprimario Pampurino un indebito protagonista della Cremona di Boccaccino. In realtà, però, la studiosa, prima ancora della scoperta dei documenti di commissione, aveva proprio proposto quella datazione ‘bassa’ (1508) poi rivelatasi corretta, leggendo bene quella specificità che faceva dell’Annunciazione in San Michele qualcosa di sottilmente diverso dal capolavoro di Boccaccino in Cattedrale, ovvero la sua più marcata enfasi nello scorcio prospettico. E in quel senso il capolavoro di Pampurino costituiva un antecedente importante all’attività nel cremonese dello stesso Pseudo Bramantino; accanto, magari, all’opera del già citato Johannes Hispanus, altro pittore spagnolo girovago per l’Italia di primo Cinquecento, come il Fernández, e che pure potrebbe avere lavorato anche a Cremona. In questo modo la studiosa rimarcava anche la precisa identità della pittura fiorita nella sua città già in quest’epoca, rivendicandole quello statuto di ‘scuola’ che, dopo Lanzi, ha faticato ad affermarsi.
Quanto messo a fuoco da Mina Gregori in quel suo percorso di approfondimento della scuola cremonese in tanti anni di studio, dal 1950 al 1985, può essere insomma giudicato un luminosissimo modello di connoisseurship, sia per le singole acquisizioni attributive e di collocazione cronologica, sia per il significato più ampio che da quelle è sempre necessario trarre.

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