«In questi giorni ho sentito parlare di Turetta, molte persone lo hanno additato come un mostro. Ma lui mostro non è. Mostro è colui che esce dai canoni normali della nostra società, ma lui è un figlio sano della società patriarcale che è pregna della cultura dello stupro». Elena Cecchettin l’ha detto su Rete 4, ma poi le sue parole sono uscite dal teleschermo e hanno invaso prima i social network di tutto il paese e poi le strade di Padova, in un corteo popolato da almeno quindicimila tra ragazze e ragazzi, un fiume umano che ieri sera è partito da piazza Portello ed è arrivato infine in piazza delle Erbe.

«IL FEMMINICIDIO non è un delitto passionale, è un delitto di potere, è un omicidio di Stato perché lo stato non ci tutela e non ci protegge. Bisogna prevedere un’educazione sessuale e affettiva, in modo da prevenire queste cose. Bisogna finanziare i centri antiviolenza, in modo tale che se le persone devono chiedere aiuto siano in grado di farlo. Per Giulia non fate un minuto di silenzio, per Giulia bruciate tutto», ha detto ancora la giovane, lasciando in silenzio lo studio del talk show, incapace di replicare a un’analisi impietosa, oltre che realistica.
E quell’invito, «bruciate tutto», si è visto anche per le strade di Padova, la città in cui sua sorella Giulia avrebbe dovuto laurearsi giovedì scorso. Un appuntamento a cui non è mai arrivata.
Elena Cecchettin è così uscita da un copione che sembrava pronto per esserle cucito addosso: da sorella della vittima, parente da consolare, si è trasformata in attrice politica. Un’attrice politica che fa paura, evidentemente. E non solo ai prevedibili ospiti dei salotti serali di Mediaset. Elena non chiede per Filippo Turetta, ex fidanzato della sorella, ora accusato di omicidio volontario e che presto verrà estradato dalla Germania in Italia, l’ergastolo. Non chiede vendetta, non chiede che la risposta al femminicidio commesso da Turetta sia quella detentiva e punitiva, chiede la rieducazione.

ELENA CECCHETTIN denuncia la cultura patriarcale, denuncia anche lo Stato, ribalta la narrativa del not all men e restituisce a tutti gli uomini la loro responsabilità nella morte di ogni sorella.
«Io non starò mai zitta. Non mi farete mai tacere», ha scritto poi sui suoi social, nonostante i numerosi attacchi dei propagandisti della destra di governo, gente che l’ha giudicata severamente, molto oltre il tollerabile, per il modo in cui stava vivendo il dolore del lutto di sua sorella. Gente che ha provato a delegittimare ciò che diceva per il suo stile di abbigliamento, per i suoi modi, per il trucco che aveva sul volto.
Nelle piazze di tutto il paese, però, si respira un’aria molto diversa. Come richiesto da Elena Cecchettin il corteo di Padova ieri si è aperto con un coro che è un manifesto programmatico e che va ben oltre lo slogan e le sue migliaia di repliche sui social network (compresa la polizia di Stato sul proprio profilo di Instagram): «Oggi bruceremo e ci riprenderemo tutte le strade di Padova».

Il corteo è stato organizzato in occasione del Ttransgender day of remembrance, la giornata mondiale in ricordo delle persone transessuali vittime di violenza, ma si è ovviamente allargato trasformandosi in a una mobilitazione anche per Giulia e contro i femminicidi.
Anche Elena era presente ieri, e poco prima del corteo ha chiesto a giornalisti e reporter: «Continuate a raccontare la verità. Vi chiedo soltanto di lasciarmi sola per un po’, sto mentalmente e fisicamente male e devo darmi del tempo per riprendermi».

E così migliaia di persone da diverse città del Veneto sono venute a Padova per il corteo. Ma in generale le piazze hanno continuato a riempirsi in questi giorni, presidi e cortei sono stati convocati in tutta la regione, con Padova divenuta centro nevralgico: tutta la città discute di quello che è successo, riflette, cerca una risposta collettiva.
Nella mattinata di ieri una grande assemblea ha affollato il cortile dell’università degli studi Padova. «All’università si respira un’aria di lutto, i professori e le professoresse continuano a fare minuti di silenzio. Noi siamo furiose. Non siamo in lutto», raccontano alcune studentesse. E la rabbia era palpabile anche in mezzo alla manifestazione.
«Ci vogliamo vive e libere», recita lo striscione di apertura. E molte sono intervenute per chiedersi se solo Filippo fosse stato migrante. Se fosse stato nero. Se non fosse stato italiano «e di buona famiglia. La retorica sarebbe stata la stessa di questi giorni?

RESTA UN ULTIMO grido: «Contro ogni confine di genere e contro ogni confine territoriale. Insieme siamo partite, insieme torneremo».