Aveva una passione per il teatro e la sua vita è stata innesto di parola e di azione, svolgimento di quelle contraddizioni che i grandi eventi della storia producono. Olympe de Gouges ha occupato vari palchi nello svolgimento del grande spettacolo «Rivoluzione francese», perché tanti sono stati gli ambiti in cui il suo pensiero si è andato svolgendo, con sorprendente acume, un forte coraggio, una audacia che le hanno riconosciuto come metodo esistenziale.

È UN INSIEME di riflessioni, difatti, il lavoro collettivo a lei dedicato Un dialogo su Olympe de Gouges. Donne, schiavitù, cittadinanza (edizioni Ets, pp.206, euro 22), a cura di Thomas Casadei e Lorenzo Milazzo, che sistemano il materiale multidisciplinare messo a restituire il senso prismatico di una esperienza intellettuale e militante importante per tante riflessioni, dal giusnaturalismo come concetto-leva per verificare e denunciare «l’universalismo non autenticamente inclusivo delle dichiarazioni sui diritti» al precipitato di questa riflessione sulla effettività delle enunciazioni di principio in relazione alle «questioni femminili», dall’iniziale posizione monarchica alla occupazione e esplorazione della posizione singolare della dissidenza, dall’analisi comparativa dei testi costituzionali all’«audacia» connessa alla teorizzazione di una cittadinanza connessa a un welfare tessuto dal punto visuale delle donne e dei poveri.

Il dialogo si compone, infatti, di saggi che arrivano da studiosi di diverse sensibilità, giuristi, storici, filosofi. E questo restituisce il multiforme alla vicenda che ne formalizza solo la struttura reale, il reale dispiegamento di una indagine sulla rivoluzione e nella rivoluzione che si è preteso senza settorialità, generoso ed in gran modo libero.

ANDARE COSÌ nella storia cambia, per dirla con le parole di bell hooks, «il modo in cui sappiamo ciò che sappiamo». Si è battuta contro la pratica della schiavitù e per il diritto al divorzio in uno stesso spazio esistenziale: non deriva da De Gouges, antesignanamente, la pratica di quella intersezionalità che ha consentito ai femminismi di sfondare le porte delle battaglie di retroguardia slegate dalla elaborazione di un mondo nuovo senza oppressione?
Ogni ambito di indagine, poi, si presta a diventare anche analisi di una coralità pensante: sull’esistenza di diritti naturali si dà notizia del confronto con Rousseau, con Jeremy Bentham.

A dire che nessuna vita è mai una vita individuale. Natura e ragione sono gli strumenti di cui si serve per denunciare il carattere artefatto della schiavitù, intuizione premarxiana di una società come fotografia dei rapporti di forza che la attraversano. Da qui discendono le battaglie per una effettività della presenza femminile, e quelle per la lotta alla povertà che tutto è fuorchè uno stato di natura e di qui un ripensamento del welfare.
Nel 1793 diventa emblema dello «slittamento della rivoluzione», come lo definì Furet, in cui la dissidenza al terrore intanto dispiegato da Robespierre le costò la vita. Fino all’ultimo spesa a farsi indagine su un mondo più giusto.