La redazione consiglia:
Luigi Nono, un lampo di memoria viva nell’archivio della BiennaleNon si ascolta mai abbastanza la musica di Luigi Nono. Il recente risalto dell’edizione del Prometeo nel quarantennale non inganni: Nono si suona poche volte in Italia. La sua grandezza, la sua attualità (quella dell’«inattuale» che riguarda il desiderio di mondi ulteriori e di «vie non vie uscita» da percorrere) richiederebbero ben maggiore presenza nei programmi dei concerti. Così è forte il piacere di trovarlo nel programma del concerto d’aprile (ne fa uno al mese) del Pmce, Parco della Musica Contemporanea Ensemble. È il Nono di «Hai que caminar soñando». Per due violini. Scritto nel 1989 per essere eseguito, o meglio liberamente interpretato, con l’imprecisione, l’oscillazione, l’irrequietezza del desiderio infinito, dai violinisti Gidon Kremer (già dedicatario, persino nel sottotitolo, di La lontananza nostalgica utopica futura di un anno prima) e Tatiana Grindenko. Forse l’ultima opera prima della morte.
Dal collettivo del Pmce escono Mayah Kadish e Filippo Fattorini, i due violinisti. Come è previsto dall’autore, sono dislocati in due diversi e lontani punti della Sala Studio dell’auditorium romano. Poi «cammineranno» – i caminantes sono le figure storiche e ideali che ispirano l’ultimo Nono – verso altri punti fino a trovarsi una accanto all’altro nella parte finale del brano di venti minuti. Strategia e tattica di spazializzazione dei suoni e della loro «mobilità» (interna alla loro natura, soprattutto), che non si sa fino a che punto sia aderente alle indicazioni noniane, volutamente non prescrittive. Ma la musica si rivela. Appare. Una volta tanto un incanto e una invenzione inaudita – sarà sempre inaudita – illuminano il nostro tempo martoriato. Oltre il tempo. Dal collettivo escono i due violinisti, Mayah Kadish e Filippo Fattorini

CHE MUSICA È? I pianissimi sovracuti sono prossimi al silenzio; i due violini sono in dialogo a volte di domanda-e-risposta (i due interpreti accentuano un po’ questo aspetto), più spesso in sovrapposizioni e rare congiunzioni; frammenti di melodie cantabili vengono accennati e dissolti; il clima è prevalentemente estatico e le sequenze «inudibili e indicibili» sono fatte di suoni che stanno a sé, molto lunghi e anche puntati, e non vanno da nessuna parte ma percorrono strade utopiche (La lontananza…); questo clima è interrotto in momenti inattesi da brevi violenti grumi di suoni e da arpeggi velocissimi quasi tziganeschi; la polifonia è sempre dominante ma non governa niente perché segue suggestioni antiche e suggestioni ancora da sperimentare. Un Nono che sta dove nulla si vuole costruire se non la proiezione del sé e dell’altro in un altrove che si sta via via conoscendo, poeticamente, soñando appunto. Concretezza commovente del sogno, meraviglia dell’ascolto di questo cammino in un non-territorio. Kadish e Fattorini non vanno confrontati con Kremer e Grindenko (registrati in uno storico Deutsche Grammophon). Ci regalano questo Nono immenso con leggera intensità, con amore, con sapienza del mestiere, con levità, con grazia.

LA GRAZIA non è, purtroppo, la dote di Nicola Sani, l’autore che segue Nono nel programma. Il termine grazia qui non vuol dire «grazioso» e magari «lezioso». Può sentirsi nelle violente irruzioni di un Albert Ayler o nelle deflagrazioni di Nono stesso ai tempi di Intolleranza 60. È questione di luce, ardimento inventivo, singolarità della composizione dei materiali sonori. Cose che mancano al Sani di questa occasione. In Black area in reds (2011, ispirato a un quadro di Rothko), per quartetto d’archi, clarinetto basso, pianoforte e percussioni, mette in atto i processi di particelle senza finalità e senza linea «alla Nono» e in Lied (2001), per tre percussioni elettroniche, flauto con distorsore e live electronics, compie un esperimento di «musique concrète» dei nostri giorni. È effettistico all’eccesso eppure non stupisce mai, non incanta mai. Interpreti del Pmce (col flautista Manuel Zurria e il clarinettista Paolo Ravaglia in evidenza) sempre ad alto livello nel suonare accesi dalla passione. Occasione comunque speciale nel corso di questo tempo assurdo. Aspettando la bomba.