Al primo sguardo appare come l’ennesimo atto d’imperio della Lega sul tremebondo alleato di governo pentastellato. Torino è stata esclusa dal fu tridente che doveva essere candidato dal Coni ad ospitare le Olimpiadi invernali del 2026.

IL SOTTOSEGRETARIO Giorgetti usa toni lapidari alle due del pomeriggio di ieri: «Il governo non ritiene che una candidatura fatta così possa avere ulteriore corso. Questa proposta non ha il sostegno del governo e come tale è morta qui». Tempo mezz’ora e spunta il «piano B», che vulgata vuole venga raffazzonato da Fontana e Zaia durante un confronto che dura il tempo di un caffè.

I due propongono «Milano-Cortina 2026»: pagano tutto le rispettive regioni, Lombardia e Veneto. Sala, il sindaco di Milano, è contento perché il suo brand, cioè la città di cui è sindaco, avrà il ruolo da capofila che desiderava, e il brand si vedrà bene in tutto il mondo.

Il presidente del Coni Giovanni Malagò vede la salvezza per la candidatura italiana – e sua personale, dato che in ballo c’è anche la sua prossima carriera al Cio – e afferma che oggi presenterà in ogni caso la candidatura Milano-Cortina al Comitato Olimpico Internazionale.
Giorgetti con entusiasmo olimpico sottolinea che il governo non metterà un centesimo, in ogni caso: «Se Lombardia e Veneto vogliono andare avanti se ne facciano carico».

SALVINI ESULTA, DI MAIO dà la colpa a Malagò, il governatore del Piemonte Sergio Chiamparino adombra complotti anti-piemontesi da parte del governo. Esce così mestamente di scena la candidatura torinese, travagliatissima, giunta come un fulmine a ciel sereno nello scorso febbraio quando Milano era certa che sarebbe stata la città italiana designata ad ospitare i giochi invernali del 2026. La perdurante crisi industriale torinese, gravitante sul complesso di Mirafiori-Grugliasco sempre più spolpato di lavoro, aveva portato la sindaca Appendino a scombinare le carte ideologiche del M5s. Candidatura minata dall’interno – una fronda piccola ma letale, cinque consiglieri di maggioranza giunti a un passo da far cadere la giunta pentastellare – e dall’esterno: un coordinamento contro le Olimpiadi, il Cono, unito alla furia del Movimento Notav che non voleva sentir parlare di nuove Olimpiadi in val Susa. Dove, per altro, giacciono devastati e saccheggiati i mega impianti del salto dal trampolino e bob.

LA CANDIDATURA TORINESE, giunta dopo lacrime e strepiti notturni, fondava su un principio: mai con Milano. Per radicate ragioni scioviniste, perché quelle di Torino volevano essere sostenibili, ovvero fondate sul riciclo degli impianti oggi marcescenti.

Sarebbe però stato necessario un nuovo passaggio in consiglio comunale per accettare il tridente chiesto dal governo a giugno: passaggio dove la sindaca Appendino difficilmente avrebbe avuto la maggioranza, e con ogni probabilità, invece, avrebbe terminato la sua carriera da sindaca. L’estremissione salva la giunta e ricompatta il gruppo consigliare balcanizzato che ieri festeggiava il pericolo scampato, complimentandosi via social per la coerenza della sindaca. Le blande proteste di Di Maio chiariscono che la missione olimpica di Chiara Appendino non aveva supporto nemmeno nazionale. Inoltre il vicepremier pentastellato, in ogni caso, ora avrà un carta in più da giocare nell’eterno do ut des con l’alleato leghista.

PER MILANO E CORTINA potrebbe essere in ogni caso un azzardo. Il costo medio di un’Olimpiade invernale, secondo un ricerca dell’Oxford Institute pubblicata nel 2014, è pari a 3,5 miliardi di euro. I preventivi dei due dossier portati al Coni a giugno sono pari a un decimo di tale cifra. Le due regioni dovranno trovare denaro: il «se ne facciano carico» di Giorgetti significa questo. Ma l’idea che il governo da qui al 2026 non finanzi alcunché è peregrina.

La capriole di Giorgetti, Sala, Zaia e Fontana in ogni caso salvano il Cio: l’Italia è di fatto l’unico paese che ancora vuole le Olimpiadi invernali.
Ultima ritirata in ordine temporale è stata Sapporo, in Giappone. Rimangono Calgary, che avrà un referendum nel mese di ottobre e si prospetta lo stesso esito di Sion e Innsbruck, Ezrum in Turchia – a 200 km dalle zone di guerra – e Stoccolma, dove però manca un governo e tutti i partiti da sempre sono scettici.