L’immagine simbolo di questa prima giornata del Sei Nazioni è il sorriso di Stuart Hogg, capitano della Scozia, mentre stringe tra le mani la Calcutta Cup. La serata fredda e piovosa del Murrayfield di Edimburgo ha visto i padroni di casa battere di strettissima misura (20 a 17) l’auld enemy, l’antico nemico inglese, ed è stata una battaglia vera, feroce, intensa, con molti colpi di scena. A fregare gli inglesi è stato un errore imperdonabile del loro tallonatore, Cowan-Dickie che al 66’, con la squadra in vantaggio, ha smanacciato volontariamente l’ovale in fallo laterale: meta tecnica e cartellino giallo. Addio Calcutta.

Era da quasi quarant’anni, dal 1984, che la Scozia non si aggiudicava il trofeo per due anni di seguito. Per gli scozzesi non vi è trofeo più ambito di questa coppa alta non più di 45 centimetri, confezionata da un artigiano indiano fondendo le 270 rupie d’argento che costituivano il fondo cassa del Calcutta Football Club che di lì a poco sarebbe stato disciolto. La coppa fu donata alla federazione inglese di rugby che si impegnò a metterla in palio ogni anno in occasione della sfida di rugby tra Inghilterra e Scozia. Era l’anno 1879 e l’International Championship, poi divenuto Cinque Nazioni e infine Sei Nazioni, non era ancora nato.

DA ALLORA quella coppa, uno dei più antichi trofei del mondo dello sport, ha sempre mantenuto il suo prestigio. Per oltre un secolo la Calcutta Cup è stata rispettosamente esibita nella bacheca della nazione che vinceva la sfida. Poi avvenne l’oltraggio. Era il 1988. A Edimburgo gli inglesi si aggiudicarono la sfida per 9 a 6. Fu un’aspra contesa. La sera, come sempre avviene, vincitori e vinti si ritrovarono in hotel per il ricevimento ufficiale: cena, discorsi, brindisi. Qualcuno però bevve qualche bicchiere di troppo. La coppa, la preziosa coppa, fu riempita di whisky (alcuni sostengono che fosse una miscela di whisky e Drambouie) e il suo contenuto fu fatto circolare. Poi due giocatori la presero, si infilarono su un taxi e sparirono nella notte. I due erano Dean Richards e John Jeffrey, detto “The great white shark” (il grande squalo bianco). Gran giocatore, Jeffrey, uno dei migliori flanker nella storia del rugby scozzese. Biondo quasi albino, carnagione bianca come quella di uno spettro, il viso solcato da rughe tanto profonde da sembrare cicatrici. Come avversario era abbastanza spaventoso.

I DUE REPROBI, Jeffrey e Richards, giurarono poi di essere stati a tal punto ubriachi da non rammentare nulla della nottata. Ammisero però di essere divertiti a lanciarsi la coppa da un lato all’altro della strada. All’alba, quando Jeffrey fece ritorno all’albergo, riconsegnò il trofeo alla reception. Di lì a poco il manager della squadra bussò alla sua porta. La coppa era completamente ammaccata e la parte superiore era gravemente danneggiata. L’elefantino d’argento si era staccato e non fu più ritrovato. Jeffrey rimediò cinque mesi di squalifica mentre Dean Richards, che era inglese e nella vita di mestiere faceva il poliziotto, se la cavò con una sola settimana di squalifica. E questo dimostra, una volta di più, che nelle relazioni di potere gli inglesi sono sempre avvantaggiati sugli scozzesi.

La coppa fu restaurata e da allora l’originale è custodito a Twickenham, nel museo della federazione inglese; quelle che vengono annualmente assegnate sono copie. Ma sabato sera, a Edimburgo, nessuno vi ha fatto caso. Sempre sabato l’Irlanda ha facilmente disposto del Galles. All’Aviva Stadium di Dublino è finita 29 a 7, quattro mete a una, dominio assoluto dei trifogli che hanno messo in mostra un gioco di grandissima qualità. Il Galles ha pagato le molte assenze ma l’impressione è che della squadra che un anno fa aveva vinto il Sei Nazioni sia rimasto poco. Andrew Conway ha messo a segno una doppietta, Bundee Aki e un suntuoso Gary Ringrose hanno completato le marcature. Jonathan Sexton ha offerto i consueti sprazzi di genuina classe.

La sfida di Parigi tra Francia e Italia ha visto gli azzurri soccombere con il punteggio di 37 a 10. I francesi, non in giornata particolarmente brillante, hanno fatto valere il maggior tasso tecnico, la prestanza fisica, l’organizzazione di gioco. Per la prima mezz’ora l’Italia ha però giocato alla pari, passando persino in vantaggio con una meta del giovanissimo esordiente Tommaso Menoncello (16’) grazie a una splendida intuizione di Paolo Garbisi. Poi i padroni di casa hanno fatto valere la legge del più forte. Poco per volta gli azzurri hanno ceduto ma non si è avuto il tipico crollo che aveva caratterizzato le precedenti prestazioni della nostra squadra contro avversari più titolati. E’ una buona notizia che però dovrà essere confermata fin da domenica prossima a Roma contro l’Inghilterra. Oltre a Menoncello e Halafihi, hanno fatto il loro esordio in azzurro a partita inoltrata anche i giovani Pettinelli e Marin. Le cinque mete francesi portano la firma di Viliere (tripletta), Penaud e Jelonch.